Hollywood 1934. Siamo lontani dai movimenti antirazziali, molto, molto lontani. Lo specchio della vita, dal romanzo di Fannie Hurst, è una fedele trasposizione della mentalità americana media di quel periodo, con i neri sottoposti ad una condizione di inferiorità quasi naturale (l’attrice coprotagonista non è nemmeno citata in locandina!).
È più che altro una storia di indiretti sfruttamenti, dei quali non va decisamente accusata la protagonista bianca, poiché la lettura del film tende a renderla ingenuamente complice della faccenda – è d’altronde questa una grande tensione generazionale del mondo black.
Ma è prima di tutto un melò, anzi, un melodrammino strappalacrime e a tratti retorico e eccessivamente mieloso. È la favola a non lieta fine di Bea, una mamma bianca che sbanca il lunario (ma qui ci manca qualcosa: come fa? È il sogno americano, bellezza) sfruttando la ricetta per le frittelle della sua fedele serva (“la zia Deliah”), da par suo senza un attimo di pace per via della figlia, che cerca di farsi passare per bianca. All’epoca fu un successo, oggi pare troppo datato e schiacciato dall’indimenticabile remake di Douglas Sirk.
LO SPECCHIO DELLA VITA (IMITATION OF LIFE, U.S.A., 1934) di John M. Stahl, con Claudette Colbert, Warren William, Louise Beavers, Ned Sparks, Rochelle Hudson. Mélo. ** ½