Grace Is Gone | Recensione

GRACE IS GONE (U.S.A., 2007) di James C. Strouse, con John Cusack, Shélan O’Keefe, Gracie Bednarczyk, Alessandro Nivola, Dana Lynee Gilhooley. Drammatico. ****

Al centro della storia ci sono personaggi dai solidi principi (forse conservatori) che si ritrovano a dover fronteggiare l’ingiusta morte di un parente nei territori minati e pericolosi delle zone belliche più infuocate. Il vero protagonista di questo piccolo e prezioso film è il dolore, declinato nei suoi termini più rapsodici ed appassionati. Il dolore per la morte di una persona cara, di una donna soldato.

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L’elaborazione del lutto tocca al marito, al padre, all’uomo. Grace is gone, Grace è andata. È andata via, lasciando su questa terra due ragazze con, come si dice, tutta la vita davanti. Non vengono subito messe al corrente della tragica notizia dall’amoroso padre. Perché? Si rende conto dell’enormità del fatto, è ben conscio che sarà l’avvenimento più drammatico della loro vita e dunque desidera offrire loro gli ultimi momenti di liete note, lontano da tutti, lontano dal mondo sempre più imbarbarito.

Com’è triste questo apologo sulle conseguenze del dolore, eppure non privo di una sua vena speranzosa rivolta ad un futuro rilucente sebbene difficile. Com’è dolce, com’è tenero. Per niente ricattatorio, semplice e disarmante, impressiona per la sua misurata sobrietà, la sua sottile genuinità che proviene da troppa amarezza accumulata da un grande paese che non si merita una guerra così sporca. È quasi una summa dello sbandamento angosciato di una nazione in balia di se stessa.

Racconta la vita comune, senza enfasi inutile, senza pressapochismo, senza approssimazione. E com’è malinconico, nonché dolente, il dialogo esistenziale per mezzo di un telefono tra John Cusack e la voce della segreteria telefonica di Grace. Quasi a voler instaurare un rapporto ultraterreno, non voler spezzare quella indispensabile catena che lega le anime di un nucleo familiare che si ama.

Il film è bellissimo, sfiora il capolavoro grazie alla snellezza dirompente di una storia umana ed accorata, ad una sceneggiatura pressoché perfetta, una regia misurata e psicologica che indaga nell’interiorità con pudore e discrezione. Il finale è memorabile. A tutt’oggi il miglior film sulla guerra in Iraq. E la colonna sonora è di Clint Eastwood.

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