Un gioiello di rara finezza stilistica. Tra i pochi cartoon che avrebbe una sua ragione d’esistere anche con attori veri. È un gran film, Appuntamento a Belleville: un ciclista viene rapito da alcuni mafiosi durante il Tour de France e caricato su una nave diretta verso l’America, dove vogliono sfruttarlo per un esperimento di avanguardia cinematografica. Ma a seguirli – non senza difficoltà – c’è la nonna portoghese del campione, che si porta appresso un cane obeso e incontra a Belleville tre arzille vecchiette, ex cantanti di grido cadute in disgrazia che si cibano di rane.
Eccentrico, raffinato, sincero, è uno dei migliori lungometraggi animati del primo duemila. E forse non è un caso che guardi al passato, quasi ad esplicitare una crisi del racconto per immagini contemporaneo più che la nostalgia per un mondo naturalmente mitizzato.
Gioiosamente retrò, che cita con intelligenza tutto l’apparato iconografico possibile ed immaginabile (Jacques Tati, Fred Astaire, Fausto Coppi, Bernard Blier, Josephine Baker, Django Reinhardt, Topolino, Eddy Merckx…) avvalendosi di tre grandi componenti: un disegno leggiadro e beffardo; una colonna sonora spiritosa e travolgente; un cast di personaggi da antologia. Memorabili la nonna intraprendente ed umile Mme Souza, i mafiosi squadrati e, soprattutto, l’indimenticabile trio Les Tripplettes de Belleville.
APPUNTAMENTO A BELLEVILLE (LES TRIPLETTES DE BELLEVILLE, Francia-Belgio-Canada, 2003) di Sylvain Chomet. Animazione commedia. ****