Di donne mute non ne abbiamo viste molte in pellicola (Johnny Belinda su tutti). Nella letteratura abbiamo un esempio fulgido, la Marianna Ucrìa di Dacia Maraini. Poi c’è Ada, la dolente e falsamente frigida eroina di questo memorabile film al femminile. Jane Campion, in gran forma, esplora i territori pseudo-tropicali della Nuova Zelanda e li celebra come luoghi avvolti in suggestive luci nei quali avventurarsi è quanto mai ardito. Li fa abitare dai due personaggi più vigorosi ed importanti della storia, mamma e figlia.
E il film impressiona per la sua originalità raffinata ed elegante, rifacendosi a vari modelli, citati con accurata diligenza (su tutti le atmosfere intense della scrittura delle sorelle Bronte), e i temi di fondo sono quegli cari al melodramma, con qualche ingrediente più intrigante e bizzarro: c’è il ricatto amoroso imposto dall’altro (un maori convertito che s’invaghisce dell’inquietudine di Ada); ci sono gli sguardi languidi e sognanti; c’è la pioggia (e dio solo sa quanto sia importante e funzionale la pioggia battente in film del genere); c’è il rapporto famigliare labile ed irrequieto; c’è la musica, che puntella con energica passione gli ambienti; c’è una sorta di esotismo nei luoghi; e c’è la follia, rappresentante il culmine della storia.
Sottile e strisciante condizione necessaria nel melodramma, la follia ha qui i connotati di lui, il marito di Ada, entrato in un tunnel senza ritorno a causa dell’assenza di un appagamento amoroso e della scoperta del tradimento. La scena che ne descrive lo spannung è a dir poco spaventosa: ciò che per Ada è il veicolo per soddisfare la propria ragione di vita (le dita), viene simbolicamente (un solo dito, ma è il gesto a ripugnare) tagliato, per far capire come il maschio sia più forte e le convenzioni del matrimonio più importanti di qualunque altra cosa.
È anche un film femminista, ma non solo e non necessariamente. Sensuale e misterioso, violento ed incandescente, può apparire freddo solo a chi non ne percepisce l’ardente fuoco che vi brucia e si limita ad ammirarne lo stile formale e livido (ruvida e sporca fotografia di Stuart Dryburgh, costumi di Janet Patterson).
Ultimi venti minuti di grande potenza inquieta e nervosa, sfocianti in un finale speranzoso ed enigmatico con salvataggio (però c’è il fantasma della morte sempre presente). Holly Hunter è fantastica e ha fatto incetta di premi. Grandi prove per il teso Sam Neil ed Harvey Keitel che dichiara il suo desiderio malato con la tenerezza di chi non ha speranza. E lodi unanimi alla impetuosa Anna Paquin. Ottime e suggestive le musiche di Michael Nyman.
LEZIONI DI PIANO (THE PIANO, Nuova Zelanda-Australia-Francia, 1993) di Jane Campion, con Holly Hunter, Harvey Keitel, Sam Neil, Anna Paquin, Kerry Walker. Drammatico sentimentale. ****