La ricetta dovrebbe essere infallibile. Sempre e comunque, un film in cui ci stanno di mezzo il sud d’America, i campi da coltivare, i cuori da infrangere, i corpi che sudano, le torbide pene famigliari è da considerarsi, di per sé, interessante. A priori. È l’estasi del melodramma. Proprio nella profondità radicata del sud trova la sua natura più estrema e disperata.
Soffia il vento caldo (ma in originale è l’eroe ad occupare il titolo, come accade in Qualcosa che scotta) che accarezza i volti con sofferenza e passione. Peccato che il film sia solo parzialmente tutto questo. Illuminato da una fotografia meravigliosa, che dona esemplare plasticità alle incarnazioni umane e crea l’effetto per niente illusorio della vastità dei territori, vale assai di più sul piano formale che contenutistico.
La trama, difatti, è un’accozzaglia di luoghi comuni – che, meno consumati, sarebbero stati anche ingredienti gustosi di una ricetta davvero intrigante – che non crea più di tanto la giusta dialettica tra spettatore e film. Qua e là si ritrova la giusta sensualità nella messinscena (specie nel rapporto tra fratellastri), ma Vento caldo è, se non un melodrammone convenzionale, perlomeno datato. Ultima fiammata sullo schermo per Claudette Colbert.
VENTO CALDO (PARRISH, U.S.A., 1961) di Delmer Daves, con Troy Donahue, Claudette Colbert, Karl Malden, Dean Jagger, Connie Stevens, Diane McBain, Sharon Hugueny, Sylvia Miles, Madeleine Sherwood. Mélo. **