Nei roventi gironi del compiaciuto inferno dello star system hollywoodiano, un posto d’onore lo merita la coppia qui incarnata da Meryl Streep e Shirley MacLain, una drogata e un’alcolizzata (cominciamo bene!). Il romanzo autobiografico di Carrie Fisher è la lava incandescente che sputa il vulcano messo su da Nichols con piglio teatrale e non sempre lesto: la metafora vulcanologica è pertinente almeno a livello personale, in riferimento al rapporto tra verità e finzione dell’opera.
Le figure che ci fanno la Fisher e sua mamma Debbie Reynolds sono quasi impietose. Per quanto possa risultare sincero il tentativo di raccordare i rapporti tra una mamma ingombrante e una figlia difficile, a trionfare sono l’ipocrisia e il pressapochismo. La dimostrazione evidente della dittatura della falsità si ha specie nell’ultima parte.
Fino a che punto si può credere nel ravvedimento di mamma Shirley e figlia Meryl? Quando la “mammina cara” rimane vittima dell’incidente e la “figlia di nessuno” accorre al capezzale, il conseguente trucco-e-parrucco che quest’ultima apporta sul volto disordinato della genitrice è quanto di più snervante possa esserci. Perché? Perché fino a poco prima se ne erano dette di cotte e di crude, si erano recriminate a vicenda fallimenti esistenziali, si erano sottilmente (l’ipocrisia, ovviamente) maledette con soave classe.
Ma cosa importa, dopotutto! Questa è Hollywood! È la finzione che prevale sulla realtà non tanto per volontà, quanto proprio per riflesso incondizionato, una ovvia conditio sine qua non. Siamo costruite più per il pubblico che per il privato, ammette amaramente assecondata Meryl. Trasversale omaggio-graffiata alla Eva contro Eva di bettedavisiana memoria, rimandi pseudo-analogici a Mammina cara, citazioni a Lana Turner, parallelismi beffardi ed inconsapevoli con la Voglia di tenerezza con la MacLaine (anche lì era una madre “particolare”), Cartoline dall’inferno è una resa dei conti privata gettata in pasto ai voraci spettatori assettati di gossip, un mix metaforicamente pari al frullato che la MacLaine si prepara con migliaia di discutibili ingredienti.
Non sempre punge, spesso gira a vuoto, si perde qualche volta, incuriosisce. Vale soprattutto per le prestazioni, ottime, delle due leonesse nell’agone (ma come cantano bene! E quanto si divertono, queste argute signore…), mentre le straordinarie partecipazioni di Gene Hackman, Rob Reiner e Richard Dreyfuss sono semplicemente funzionali. Il caustico e buon Nichols non sempre è all’erta, ma la sua responsabilità è relativa: il difetto sta nella verbosa sceneggiatura della stessa Fisher. Comunque sia, un film piacevole.
CARTOLINE DALL’INFERNO (POSTCARDS FROM THE EDGE, U.S.A., 1990) di Mike Nichols, con Meryl Streep, Shirley MacLaine, Dennis Quaid, Gene Hackman, Richard Dreyfuss, Rob Reiner, Mary Wickes, Conrad Bein, Annette Bening, Simon Callow. Commedia drammatica. ** ½