Una tomba per le lucciole è uno dei più bei film di guerra (degli anni ottanta) per come riesce a calibrare con cura e sensibilità la crudezza della morte e il tentativo di continuare a vivere. Sorta di tardo neorealismo nipponico, è un dramma duro e tristissimo che ricorda, qua e là, certi sprazzi di Sciuscià e Germania anno zero per lo sguardo lucido e poetico che rivolge al mondo dell’infanzia: una lucciola illumina la scena con la dolce sofferenza di chi sa che di lì a poco se ne dovrà andare.
Questo racconto di una formazione forzata dal corso degli eventi rischia di cadere nell’oblio a cui sono destinati alcui splendidi film d’animazione orientale: ed è un peccato, perché stilisticamente è un’opera di armoniosa bellezza in cui trionfano una natura vuoi rigogliosa e vuoi segnata dai disastri della guerra, una cornice sublime nella quale si inserisce una storia di criminale delicatezza – ed il mondo adulto ci fa una figura magra contro l’ingenua mitezza dei bambini (specie la zia patriottica e il contadino manesco).
Fa sorridere, fa riflettere e alla fine fa piangere con disperazione: che in tempo di guerra ci siano vittime è tremendamente normale, ma che si muoia per denutrizione sfociante in insania è maledettamente più tragico. La morte della sorellina è uno dei frammenti più commoventi: e toccanti sono i gesti soffici e rispettosi con cui il fratello la ripone nel cesto-bara, con i suoi oggetti feticcio, per poi arderla. Una tomba per le lucciole vi seppellirà per il turbinio di lacrimevoli reazioni emozionali che trasmette: impossibile rimanere indifferenti. Tocca tutti, senza pietà.
UNA TOMBA PER LE LUCCIOLE (HOTARU NO HAKA, Giappone, 1988) di Isao Takahata. Animazione drammatico. ****