Il guaio di Seta è che non è un film brutto. Anzi, è bellissimo. Nella sua plastica valenza formale e artistica è un’opera impeccabile e lussuosa. Splendidi paesaggi si presentano di fronte ai nostri occhi occidentali del ventunesimo secolo e non possiamo che rimanere affascinati anche solo per suggestione esotica. Così la cornice tecnica (fotografia, scene e costumi), davvero ineccepibile.
Quel che frega Seta è tutto il resto. A cominciare dal pompatissimo romanzetto del sopravvalutato Alessando Baricco, best seller internazionale, baciato da una fortuna più che generosa. L’atmosfera astratta e rarefatta che attraversa tutta l’opera dello scrittore difficilmente possono essere trasmesse sul grande schermo senza lo sguardo di un vero regista. Qui c’è François Girard, uno che è passato da Trentadue piccoli film su Glenn Gould a Il violino rosso, incapace di non appesantire di troppe pretese autoriali un prodotto che non è né un film d’autore né un blockbuster d’alto lignaggio.
La scrittura di Baricco è una grande paraculata e raramente riesce ad emanciparsi con maestria dalla facile allegoria o dall’evocazione dell’immagine immateriale. Seta, tratto dal suo libro di maggiore successo, è un goffo e noioso tentativo che si segnala soprattutto per la spericolata mediocrità dei dialoghi, che, sebbene pochi, sono assai monotoni e davvero fuori dalla tessitura narrativa.
Silenzi non valorizzati, enfatizzati da un esasperato calligrafismo che si accompagna ad una invadente ridondanza. E se poi ci si mette un Michael Pitt mai così inespressivo siamo alla frutta. Si salva Alfred Molina col nobile mestiere, mentre Keira Knightley, al massimo del fulgore, è sacrificata al ruolo di Penelope. Coproduzione di lusso: classica montagna cha partorisce un topolino, e a niente vale Ryūichi Sakamoto che imita se stesso.
SETA (SILK, Canada-Francia-Italia-G.B.-Giappone, 2007) di François Girard, con Michael Pitt, Keira Knightley, Alfred Molina, Kōji Yakusho, Mark Rendall. Drammatico. *