Super 8 | Recensione

SUPER 8 (U.S.A., 2011) di J.J. Abrams, con Joel Courtney, Elle Fanning, Kyle Chandler, Riley Griffiths, Ryan Lee, Roan Eldard, Noah Emmerich, Bruce Greenwood. Fantascienza drammatico. *****

Un colpo al cuore, forse uno dei più suggestivi degli ultimi anni. Il responsabile è J.J. Abrams, tra gli autori più innovatori ed interessanti di questa prima decade di inizio millennio. Il contesto temporale è quanto mai necessario perché Super 8 è un film dell’altro secolo, o meglio, che ha radici impiantate in un terreno concimato con passioni, amori ed elementi di una stagione della nostra vita ben precisa.

Non è un mistero che dietro Super 8 ci sia l’influenza di Steven Spielberg, forse l’unico regista americano degli ultimi trent’anni ad aver creato un immaginario all’altezza della nostra immaginazione e uno plotone di fans devoti e diligenti. Abrams è uno di questi, e il suo film a tutt’oggi più personale è un omaggio sincero ed appassionato al due volte premio Oscar Spielberg.

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Le ragioni sono tante e sfiziose. Super 8 è un film di fantascienza in cui la paranoia latente supera l’effetto palese, in grado di costruire sequenze ansiogene senza mai mostrare l’antagonista fino all’ultima mezz’ora. La sua presenza si sente, ma realmente non si riesce a capire davvero che cosa sia quest’essere innominabile (le parole “alieno” o “extraterrestre”, se non vado errato, non vengono mai pronunciate) e crudele, nonostante lo spettacolare ed inspiegabile deragliamento del treno da cui parte la vicenda e la devastazione della pompa di benzina. L’essere c’è, si sente, non si sa se esista per buona parte del film, e la bravura di Abrams sta nel creare aspettativa (che non verrà tradita) in un pubblico avvezzo alle macchine fracassone di Transformers e simili.

Giacché il pubblico di Super 8 non è solo il classico pubblico da multisala (dubito che molti dei nati dopo il 1990, generazione che popola i multiplex, che proiettano film dello stesso genere – se di genere si può parlare, ma ci torneremo dopo – di questo, sappiano cosa sia un Super 8), Abrams coglie l’occasione per disseminare la storia di deliziose e gustose citazioni cinematografiche che attingono essenzialmente alla New Hollywood tra i sessanta e gli ottanta.

C’è ovviamente Spielberg (che il film onora con rispetto) con il padiglione in cui si nasconde il mostro (una specie di evocazione di Incontri ravvicinati del terzo tipo) e il rapporto tra bambino ed alieno (l’indimenticabile E.T., di cui c’è anche il richiamo alla famiglia del ragazzino che fa il regista, numerosa come quella di Elliot, e alla sequenza in cucina). C’è il Romero dei Morti viventi, omaggiato sia per gli zombie che per il nome delle industrie chimiche al centro del filmino dei ragazzi.

C’è Rob Reiner e il gruppetto dei ragazzi che entrano nell’adolescenza di Stand by me, con la scoperta del mondo e, di conseguenza, della violenza, e tante altre cose. Super 8 è un film sul cinema che si fa mito, con il ragazzino regista che lentamente diventa esigente ed egocentrico nella sua adorabile passionalità, con il monologo con cui l’attrice per caso Elle Fanning dichiara il suo amore al partner di scena, con la visione di quei filmini in Super 8 ora sconvolgenti (quelli riguardanti il caso dell’alieno e le implicazioni del misterioso professore di biologia), ora strazianti (le immagini della madre del protagonista Joe, morta in un incidente alle acciaierie come ci spiega la disperata ed essenziale scena iniziale).

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I ragazzini costruiscono un cortometraggio in cui confluiscono una manciata di generi, dalla fantascienza al noir fino al mèlo: così pure il film di Abrams, che parte come un dramma, diventa poi un racconto di formazione (restandolo fino in fondo), si trasforma d’improvviso in un action movie per poi scoprire le sue vere carte fantascientifiche ed avventurose (non a caso sono i generi maggiormente praticate dal nume tutelare Spielberg).

Naturalmente il film è da vedere e dire altre cose toglierebbe il gusto della visione (Super 8 è un film d’altri tempi anche per come riesca ad essere imprevedibile nella sua prevedibilità): basti dire che il finale è tra i più belli degli ultimi vent’anni, con quella vaga sensazione di ingresso in un’altra età, in un altro mondo.

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