L’elemento evidentemente più bello di Del perduto amore è la scelta del cinemascope (la fotografia, livida e brulla, è di Blasco Giurato), che fa assumere al film connotati quasi epici, collegandosi idealmente ad una cinematografia lontana.
Michele Placido sa di cosa parla perché la storia è ambientata nel suo meridione in un’epoca (la fine degli anni cinquanta) in cui aveva l’età del giovane protagonista e si è fatto assistere da Domenico Starnone per mettere su questo racconto di formazione cupo ed intenso con al centro due temi fondamentali: l’amore e la politica. L’amore è idealizzato nella maestra (e la possibilità della perdita della verginità è evitata con durezza dallo stesso protagonista), la quale si è candidata alle elezioni nelle file comuniste.
La bandiera rossa non è ben vista e gli arretrati paesani fan di tutto per emarginarli, mentre la battagliera Liliana fonda una scuola malvista dai potentati democristiani. L’amore viene meno quando il protagonista scopre che Liliana non è una santa e se la fa con il medico condotto.
Placido attinge ad un universo cinematografico sterminato che ha speculato alla grande sull’argomento e riesce a trovare una sua dimensione nel racconto della realtà del paese (il fascistello antipatico di Sergio Rubini, il prete molto demo e poco cristiano di Rino Cassano, il democristiano bigotto di Rocco Papaleo) e nel ritratto del padre chiuso e sensibile (un finissimo Fabrizio Bentivoglio). Giovanna Mezzogiorno è lo splendido soggetto del desiderio, esemplare nel tratteggiare la sua fiera e sofferta Liliana con fatal destino.
DEL PERDUTO AMORE (Italia, 1998) di Michele Placido, con Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Bentivoglio, Enrico Lo Verso, Sergio Rubini, Rocco Papaleo, Rino Cassano, Piero Pischedda, Michele Placido. Drammatico. ***