Capitata in un castello abbandonato, una rappresentante di cosmetici (l’adorabile Dianne Wiest) conosce il giovane Edward, che, al posto delle mani, ha delle ingombranti forbici. La buona donna se lo porta in famiglia, nella casetta di periferia dai colori caramellosi, in cui tutto il vicinato trova un pretesto per inglobarlo nella comunità grazie all’inquietante protesi (taglia le aiuole e i capelli di Kathy Baker). Il ragazzo finisce pure per innamorarsi della figlia della donna, mal fidanzata (bellissima Winona Ryder). Finirà male.
Meraviglioso apologo sulla diversità, racconto profondamente morale e coinvolgente, a tratti addirittura struggente (complice anche l’eccellente partitura musicale di Danny Elfman), resta l’apice della parabola discendente di Tim Burton. Con uno sguardo impietoso sulla società (ultra)americana intollerante ed ipocrita, Burton sceglie la via della favola (cupa finché si vuole) per conferire dignità al ritratto di un ragazzo sensibile che è un po’ la sintesi di un certo mondo di colori e dolori, emotività e solitudine.
A posteriori, costituisce il canone burtoniano: emarginati dall’immagine respingente ma con un disperato bisogno d’amore, contesto ambientale incapace di dialogare con i non allineati, bizzarrie che alludono all’allucinata alienazione di una nazione vittima delle sue ipocrisie. Se Johnny Depp, incantevole freak, trova il ruolo della vita, è indimenticabile il cammeo di Vincent Price, l’inventore-padre che non finisce la sua creatura. Finale memorabile con una straziante escalation di commozione.
EDWARD MANI DI FORBICE (EDWARD SCISSORHANDS, U.S.A., 1990) di Tim Burton, con Johnny Depp, Winona Ryder, Dianne Wiest, Alan Arkin, Anthony Michael Hall, Kathy Baker, Vincent Price. Fantastico sentimentale. *****