Sotto l’ombra dell’ingombrante muro che si erge in quel di Berlino, si muove con fare sospetto un piccolo uomo comune: è Wiesler, nome in codice HGW X/22, una delle più brillante spie della Stasi, i servizi segreti della DDR. Esercita il suo lavoro in maniera metodica ed ossessiva, vedendo ovunque il marcio (cioè chi non si adegua al regime). E in questo marcio c’è, probabilmente, anche il più acclamato degli autori, Georg Dreyman. Dopo aver disseminato la sua casa di cimici e spie, inizia il suo lento e delicato compito. Ma, in fondo, non è anche lui una persona buona? Cosa si nasconde dietro quel volto tanto diffidente quando introverso? Non merita anche lui una sonata per persone buone?
Fosse solo per il merito di far riscoprire una delle più torbide pagine della storia europea, Le vite degli altri è un film necessario. Fosse solo didattico, l’esordio di Florian Henckel von Donnersmarck non andrebbe oltre il canone della fiction. In realtà l’ambizione è più alta: questo noir potente e teso è il duplice ritratto di due personaggi che entrano in crisi per le conseguenze del desiderio, del dubbio, del dilemma.
Se lo spione inizia a dubitare sulla necessità degli assidui accertamenti e sulla libertà di espressione in una nazione chiusa, oppressa ed ossessionata dal controllo delle vite altrui, lo scrittore intellettuale capisce che non può più rinnegare i suoi ideali, stimolato anche dai suoi compagni. E, oltre alle evidenti incompatibilità politiche, ci si mette anche la sua donna, ex amante di alto funzionario, e proprio per questo osteggiata.
L’importanza di questo asciutto e crudo film (il lato oscuro di Goodbye Lenin!, per citare un altro successo tedesco) sta nell’illustrare con sapienza introspettiva due mondi a confronto, diversi apparentemente eppure attigui. Un’ottima e struggente opera prima che segna il culmine di due anni di studi effettuati dal regista, che ha letto tutto ciò che ha trovato riguardo la Stasi e le sue vittime: la Germania libera del 2006 fa i conti con quella divisa e ostracizzante degli anni ottanta e la visione, fredda ma coinvolgente allo stesso tempo, non lascia spazio a riletture o revisioni.
Ci si stringe il cuore quando compare il vecchio regista al quale il regime impedisce di lavorare, Wiesler legge la poesia di Bretch e Georg scopre di essere sempre stato spiato. Anche per via di quel finale indimenticabile, lo straordinario Urlich Mühe rimane veramente nel cuore, disegnando con finezza il ritratto di un uomo senza amici, ossessivo, che si concede una mezz’ora di un giorno al mese di sesso ed insegna a giovani aspiranti agenti della Stasi come sfinire un probabile fuorilegge. Ma dominato da un conflitto interiore lancinante. Perché nel mondo esistono ancora persone buone, al quale dedicare una sonata. Premiato ovunque.
LE VITE DEGLI ALTRI (DES LEBEN DER ANDEREN, Germania, 2006) di Florian Henckel von Donnersmarck, con Ulrich Mühe, Martina Gedeck, Sebastian Joch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme. Drammatico. ****