Peppino Patroni Griffi è stato un mostro sacro del teatro (cito solo Metti, una sera a cena e Prima del silenzio), che si era convinto di trovare nel cinema un linguaggio a lui affine. Ma raramente ha saputo estrapolare dal mezzo filmico qualcosa di pienamente convincente. L’unica cosa davvero convincente di questo Divina creatura è il suo apparato estetico.
Considerandolo da un punto di vista estetico, il film è impeccabile, zeppo di immagini splendide (specie nelle sequenze in esterno), bello da vedere a livello figurativo, come una serie di cartoline d’antan con il problema di avere delle spudorate ambizioni narrative. E forse il film è soprattutto questo: il trionfo di una sensibilità estetizzante che si dichiara narratore impotente di fronte alla potenza soverchiante della bellezza.
Ed infatti la storia non c’è, e quel poco che c’è sembra privo di un’impalcatura narrativa che vada al di là delle didascalie di D’Annunzio, Puskin, Baudelaire etc. e dalle esangue sensazioni dei protagonisti. Basterebbe vedere come si muove Marcello Mastroianni in un ruolo francamente ridicolo, gigioneggiando con la classe del divo per sbaglio, esprimendosi con eccessiva serietà (umorismo?) in una totale confusione. Riappare dopo anni anche Doris Duranti, fu diva di regime ed amante di Pavolini.
DIVINA CREATURA (Italia, 1975) di Giuseppe Patroni Griffi, con Laura Antonelli, Terence Stamp, Marcello Mastroianni, Michele Placido, Duilio Del Prete, Ettore Manni, Carlo Tamberlani, Marina Berti, Doris Duranti. Drammatico. * ½