Celebrazione tutt’altro che retorica e per niente assolutoria del mestiere dell’attore, Servo di scena è uno di quei film di cui non riesci a parlar male, vuoi perché (e questo è il più bello dei luoghi comuni) gli inglesi raramente sbagliano un colpo quando si parla di Shakespeare, vuoi perché Peter Yates realizza il tutto con dovizia e cura, perizia ed abilità, senza mai cadere nella maniera (altro luogo comune: quanto sanno essere manieristi gli inglesi, dio solo sa) o nella banalità.
Ma più di ogni altra cosa Servo di scena è un film completamente al servizio dei suoi due attori, prima ancora due personaggi scritti eccellentemente da Ronald Harwood nella commedia all’origine della trasposizione cinematografica: da una parte il capocomico Sir, dispotico baronetto della Regina che comanda una compagnia shakespeariana, fragile ed instabile, vulnerabile e crepuscolare; e dall’altra Norman, il suo dresser omosessuale, di cui Sir è totalmente dipendente, vittima degli squilibri del vecchio leone del palcoscenico, vagamente alcolista e remissivamente duro.
È un duetto d’attori fenomenale che Albert Finney e Tom Courtneay riescono a raggiungere le punte del divino, mettendo a segno due interpretazioni mastodontiche. Accusato di essere un raffinato esempio di teatro in scatola, Servo di scena è invece un’opera così intima, chiusa nel microcosmo di un teatro (nella fattispecie tra il camerino di Sir e il palcoscenico, con relativi corridoi e quinte), da essere totalmente cosmo, capace di parlare ad un mondo vasto e composito, perfettamente british e al contempo universale.
La sua potenza, se volessimo andarla a cercare in particolari momenti, sta in una sequenza di devastante titanismo da parte di Sir (la tempesta in scena) e negli sguardi malinconicamente freddi ed innamorati di Norman, nonché in quel finale così ineluttabilmente naturale.
IL SERVO DI SCENA (THE DRESSER, G.B., 1983) di Peter Yates, con Albert Finney, Tom Courtneay, Edward Fox, Zena Walker, Eileen Atkins. Drammatico. ****