Probabilmente l’unica ragione per vedere Goodbye Mr. Holland è Mister Holland stesso, e cioè Richard Dreyfuss in uno dei suoi ultimi ruoli degni della sua storia di attore emblematico di una generazione.
In un veicolo per la sua recitazione newhollywoodiana, nei panni di un personaggio ricalcato sul celebre Mister Chips, un compositore frustato diventato insegnante con crescente motivazione, Dreyfuss lavora di sottrazione sulla sensibilità di un talento individualista progressivamente votato all’educazione di massa.
Al suo attivo il film ha la trattazione di due temi insoliti che hanno a che fare con l’accettazione: del trauma del figlio sordo (per un musicista); e del talento messo da parte per seguire altre strade. Al passivo ci sono un approccio convenzionale al racconto parallelo della dimensione pubblica, vero cardine e grande debolezza di un film che si propone come “racconto nazionale” se non proprio patriottico (Holland dirige la banda); la banalità dei caratteri di contorno, soprattutto gli studenti; il buonismo che esplode nel finale lacrimevole e ruffianissimo.
Grande successo di pubblico, è un tipo di film che ciclicamente funziona nell’industria cinematografica americana: il privato di un americano idealizzato che s’intreccia con la storia patria naturalmente permeata di speranza, giustizia, democrazia.
GOODBYE MR. HOLLAND (MR. HOLLAND’S OPUS, U.S.A., 1995) di Stephen Herek, con Richard Dreyfuss, Olympia Dukakis, Glenne Headly, Jay Thomas, William H. Macy. Drammatico. **