34° Torino Film Festival | Recensione: Kate Plays Christine

KATE PLAYS CHRISTINE (U.S.A., 2016) di Robert Freen, con Kate Lyn Sheil. Documentario. * ½

Accanto al biopic tradizionale con Rebecca Hall, la tragica storia della giornalista Christine Chubbuck, suicidatasi in diretta televisiva nel 1974, viene declinata seguendo una diversa flessione rispetto alla più strutturata e mediata rievocazione di Antonio Campos.

Kate Plays Christine è una sorta di documentario sul mestiere dell’attore, in particolare quello della giovane Kate Lyn Sheil, scritturata per interpretare la povera donna. Il suo lavoro deve fare i conti con la penuria di informazioni: al di là del fatto che il video della morte fu ritirato dalla circolazione dal network, la sua memoria è stata pressoché rimossa e i pochi testimoni non aiutano più di tanto.

Truccata e vestita come la Chubbuck, l’attrice capisce progressivamente che l’interesse nei confronti della vita della donna deve vincere sulla morbosa curiosità attorno alla morte del personaggio.

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Riproducendo quanto più si possa rappresentare sul misterioso oggetto del racconto, il film batte tutte le strade disponibili: le corrispondenze con Quinto potere, il discorso sulle armi vendute ai psicolabili, le problematiche legate all’infantilismo e ai legami familiari e chi più ne ha più ne metta.

Indubbiamente degno di interesse per l’audacia dell’intento, l’operazione mostra un po’ la corda per la sua tendenza ad accumulare, accentrare, esasperare una materia che veicolando il privato di un’attrice si propone come metodo di lavoro eterogeneo e perfino angosciante.

Inoltre, la prova della Sheil sembra cannibalizzare il progetto e, in fondo, a nessuno interessa il film nel quale dovrebbe recitare né se effettivamente verrà realizzato.

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