Recensione: Billy Lynn – Un giorno da eroe

BILLY LYNN – UN GIORNO DA EROE (BILLY LYNN’S LONG HALFTIME WALK, U.S.A.-G.B.-Cina, 2016) di Ang Lee, con Joe Alwyn, Garrett Hedlund, Kristen Stewart, Chris Tucker, Vin Diesel, Steve Martin, Arturo Castro, Ismael Cruz Cordova, Mason Lee, Benn Platt, Tim Blake Nelson. Drammatico. *** ½

Chiaramente c’è un grosso problema: girato in HFR (120 fotogrammi al secondo, cinque volte la normale frequenza), 4K e 3D, Billy Lynn non può essere fruito come l’ha pensato Ang Lee, non essendo la maggior parte delle sale attrezzata a proiettare il film con queste caratteristiche. Al contempo, questo importante elemento tecnologico potrebbe finire per cannibalizzare il film, relegandolo a sperimentazione di lusso e de facto depotenziandolo.

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In realtà, anche la visione frustrata può essere davvero interessante, cercando di capire il senso dell’operazione e il modo con cui Lee ha messo in scena il romanzo di Ben Fountain. Se Billy Lynn è sostanzialmente il racconto di un evento mediatico, allora lo stesso film può essere letto come un’esperienza dentro le possibilità date dalla mediaticità. That’s Entertainment!: o, per essere meno impudenti, la società americana dello spettacolo americano.

Il sospetto lo rivelano i flashback di guerra: la funzione di rievocare i momenti bellici della squadra per scandagliare le psicologie di uomini dall’impossibile reinserimento è un pretesto per omologare la prospettiva a quella di uno sparatutto. Le soggettive, i movimenti sincopati, gli infrarossi ne esaltano la dimensione da videogioco, ma il movente non può essere ridotto all’ormai logoro concetto della guerra come gioco perverso ed annichilente (The Hurt Locker e American Sniper ci hanno già detto molto in merito).

Il panorama è più ampio e complesso. Nell’arco di una giornata, il film convoca tutte le suggestioni possibili dello showbiz americano per inserire la guerra in una politica dell’intrattenimento dove l’eroismo dei soldati perde il distacco aureo del sacrificio per mettersi al livello dello storytelling nazionale. Va detto: siamo negli anni della guerra al Terrore, presidenza Bush, il Texas che fa da sfondo alla storia è il paradigma di un popolo esaltato dalle notizie dal fronte e di una classe dirigente che tratta la guerra come spettacolo di propaganda interpretato da carne da macello.

Chiamati a presenziare nell’intervallo di una partita di football, all’interno di un numero delle Destiny’s Child, i soldati trovano in Billy Lynn, giovane e statuario, un simbolo della frattura tra la vita e la sua riproducibilità, coscienza ed immagine. Diventato eroe per aver difeso il suo sergente poi caduto, diventa il fulcro di un evento nel quale la sua persona abdica per lasciar posto all’icona. Hillary Swank vorrebbe interpretarlo in un imminente biopic che Hollywood sta scrivendo sull’onda dell’impatto mediatico (c’è fretta: «due settimane sono come due anni»).

Come gli altri soldati, il ragazzo sa di recitare una parte (emblematici i momenti in cui immagina le reali risposte alle domande nella conferenza stampa), deve accettare la coreografia della realtà per veicolare il messaggio, recita il dovere di essere un modello.

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L’unica a capirne il trauma inespresso è la sorella, ma la cheerleader è attratta da lui o dalla sua figura ero(t)ica? Qui sarebbe davvero necessario vedere il film nella sua dimensione ufficiale, per capire come Ang Lee abbia rappresentato l’ipnotica allucinazione collettiva, la cerimonia funebre illuminata dal bagliore dei fuochi d’artificio, la mascherata (le divise cambiate per ragioni estetiche) con le luci dal palco ad plagiare la folla.

Col suo destabilizzante montaggio parallelo, Billy Lynn è un oggetto inatteso e perturbante, che forse troverà una maggiore attenzione quando l’apparato tecnologico sarà derubricato in favore di un impatto teorico capace di trasmettere potenza e dolore anche al di là della sua completa esperienza formale. Tra i film più incisivi nel raccontare la narrazione della guerra lontano dalla guerra, nel riflettere sulla fabbrica degli eroi ad uso e consumo di cittadini-spettatori.

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