Recensione: Lasciati andare

LASCIATI ANDARE (Italia, 2017), di Francesco Amato, con Toni Servillo, Veronica Echegui, Carla Signoris, Luca Marinelli, Pietro Sermonti, Carlo De Ruggieri, Giulio Beranek, Valentina Carnelutti, Giacomo Poretti, Paolo Graziosi. Commedia. ***

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Nell’overdose di commedie dell’ultima annata, Lasciati andare occupa un posto un po’ scomodo. Arrivata al cinema con un certo ritardo, si è ritrovata in un momento della stagione caotico e difficile, puntando ad intercettare tanto il cosiddetto ceto medio riflessivo, bisognoso di una risata non-colpevole, quanto quello più avvezzo al genere, benché in costante emorragia.

Il perno del progetto è peraltro un altro azzardo: Toni Servillo, l’attore simbolo di un certo cinema d’autore impegnato e strutturato, si misura per la prima volta con una commedia, con l’evidente – e legittimo – obiettivo di dare un colpo al cerchio (lo zoccolo duro del suo pubblico, che lo stima con fedele ammirazione) e una alla botte (quelli che magari lo respingono perché apparentemente snob e distante).

E, va detto, funziona alla grande, grazie al consumato mestiere del teatrante eduardiano che ha sempre concimato il seme dell’ironia. Il film si fonda quasi esclusivamente sul suo personaggio e sulla capacità servilliana di mantenersene distaccato con sommesso mimetismo, riuscendo a far entrare Elia Venezia nella piccola galleria di icone già popolata da Jep Gambardella, Titta Di Girolamo, Gorbaciof, Giulio Andreotti.

Con innegabile astuzia, gli hanno costruito un personaggio che, se sulla carta ammicca al pubblico del film medio, nei fatti risulta assolutamente originale e perfino perfido nella commistione di stravaganze e stereotipi. Psicanalista fisicamente simile al dottore par excellence, ebreo ovviamente parsimonioso (leggi: tirchio) non più praticante, borghese, pigro, misantropo, separato ma non legalmente (per risparmiare i soldi dell’avvocato) e comunque ancora in ballo con l’ex moglie (la somma Carla Signoris), Elia è la sua pancia.

Goloso e statico, Elia, in studio, è ripreso con una certa distanza e ne viene fuori un profilo non lineare: così, questa pancia spiega più della sua lingua forbita che articola pensieri sprezzanti, e non scompare mai anche quando entra in gioco la personal trainer destinata a sconvolgergli la vita (la splendida e vitale Veronica Echegui).

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È una finezza da grande interprete, che tuttavia trova una complice guida nella regia di Francesco Amato, ancora relativamente giovane sebbene sia giunto al terzo film dopo due lavori abbastanza diversi. Anche se molti commentatori l’hanno accostato a Woody Allen, fermandosi alla superficie della trama, Amato sembra bagnare il naso allo stile di una commedia simil-francese, volteggiando elegantemente nei credibili interni benestanti di casa Venezia (scenografie di Emita Frigato) e soprattutto inserendo i personaggi in una Roma rivalutata (gli allenamenti a Villa Borghese) o poco vista.

La scelta vincente di andare nel Ghetto della capitale è il segno della bravura di Francesco Bruni, il più talentuoso sceneggiatore italiano di commedie, che ha la capacità di contestualizzare i personaggi in certi ambiti precisi, continuando a far correre goffamente (come ne Il 7 e l’8) dei solitari malinconici sulla soglia dell’inettitudine (Scialla!) tra le rovine (i lavori della metro bloccati di Noi 4).

Anche se, laddove innesta il truce solito ignoto Luca Marinelli nell’economia del ménage Servillo-Echegui, non dimentica la tradizione imparata alla scuola di Scarpelli (l’attenzione ai caratteri dialettali), probabilmente non si riesce a trovare un ritmo uniforme e un passo costante.

Il film però funziona, specialmente per lo spazio riservato a caratteristi in gran spolvero (Pietro Sermonti, Vincenzo Nemolato, Valentina Carnelutti, Paolo Graziosi, i pazienti Carlo De Ruggieri, Giulio Beranek e soprattutto Giacomo Poretti in una sorta di anti-In Treatment) e la cura formale che permette a Roma di splendere d’una nostalgica luce autunnale (fotografia del rampantissimo Vladan Radovic). Produce Cattleya, che alza un po’ il livello della sua ultima, avvilente stagione di commedie (Siani, Miniero, Vanzina).

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