13° Biografilm Festival | Recensione: Due sotto il burqua (Cherchez la femme)

UN BURQA PER DUE (CHERCHEZ LA FEMME, Francia, 2017) di Sou Abadi, con Félix Moati, Camélia Jordan, William Lebghil, Anne Alvaro. Commedia. ***

Scherza con i fanti ma lascia stare i santi, ammonisce la saggezza popolare, che oggi forse applicherebbe il vecchio detto ai misteriosi e temibili radicalizzati islamici, al di là di tutto come minimo sprovvisti di senso dell’umorismo.

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Un burqa per due – che in originale si chiama Cherchez la femme!, antica espressione gergale che sta a significare una cosa tipo “c’è sempre di mezzo una donna” – rappresenta una delle più audaci e rischiose commedie europee degli ultimi tempi, al netto dell’indiscutibile tasso di ruffianeria che le conseguenze dell’amore le portano in dote.

Armand e Leila sono sul punto di partire per un’esperienza all’ONU. Lui è figlio di iraniani espatriati dopo la rivoluzione di fine anni settanta, la mamma è una femminista impegnata a cercargli una moglie all’altezza e il babbo la lascia fare. Lei, ormai senza genitori, ha due fratelli: quando Mahmoud, il maggiore, torna a casa dallo Yemen, dove si è radicalizzato, per la coppia sorgono problemi insormontabili. Pur di frequentarla e vederla, Armand si traveste da donna: così, Mahmoud si convince di aver trovato nella impenetrabile Shéhérazade, di cui vede solo gli occhi, la donna della vita.

Commedia degli equivoci piena di ritmo, fondata sull’inseguimento e su gag di notevole impatto, l’esordio nella fiction della montatrice iraniana Sou Abadi flirta con l’attualità, cogliendo nella massiccia presenza islamica in Francia una possibilità per sviluppare un discorso ironico ma non ridanciano sull’integrazione e il rispetto reciproco tra culture e religioni.

Non rinuncia ad una dimensione drammatica che, pur soltanto suggerita o evocata, permette al film di restare ancorato ad una realtà problematica impossibile da eludere: è il caso del fratello minore della protagonista, che Mahmoud ha deciso di inviare nello Yemen con l’obiettivo di farlo radicalizzare, ma anche il breve e commovente ricordo giovanile della madre di Armand.

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Ma è proprio in questo personaggio, allegramente interpretato da Anne Alvaro, che, forse, si può individuare la dicotomia del film: la gravosità del tema alluso o trattato è inscindibile da una leggerezza confinante con la svagatezza e l’illusione di poter vivere nell’armonia generale, dove possano coesistere l’adesione ai propri ideali e la compassione verso l’altro.

Improvvisamente, nei momenti più combattivi, si sentono Bella, ciao e Fischia il vento, alla stregua di universali inni di libertà contro l’oppressione. Se capitassero in qualche film italiano contemporaneo, staremmo a discuterne per mesi.

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