Di fronte al suo ultimo film, subito si capisce che non si ha a che fare con l’opera migliore di Federico Fellini. Anzi, è un film che a prima vista appare abbastanza imperfetto, nonostante il guizzo poetico del regista s’avverta non di rado, tra le pieghe di un cinema coerente ma dal pericolo inevitabilmente ridondante. La voce della luna nasce da un poemetto di Ermanno Cavazzoni e non ebbe una gestazione facile.
Alla fine degli anni ottanta, Fellini sembrava non essere più commerciabile e faticava nel trovare qualcuno disposto a dargli un budget per realizzare una delle sue fantasie. Fortunatamente il film fu girato e, purtroppo, ebbe un esito al botteghino assai insoddisfacente. E questo perché è un film fuori moda, a tratti anche fuori tempo massimo, espressione di un cinema che attinge ad idee che vengono da lontano, a ricordi della gioventù, ad episodi dimenticati e riemersi in prospettiva magica.
Un cinema inusuale e atipico nel desolante panorama del decennio più pecoreccio, dominato dall’influenza delle tv commerciali già condannata in Ginger e Fred, dal rumore frenetico dei potenti mass media incapace di sublimare la finzione come il Fellini di Intervista. Quando il vecchio Paolo Villaggio balla un lento in discoteca con una donna misteriosa, il maestro sta imponendo il suo sguardo in un mondo scopertosi cieco o incapace di vedere.
Un film prezioso che reclama il bisogno del silenzio, perché «se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa riusciremo a capire». Imperfetto sì, fin troppo fellinesco, ma affascinante ed imperdibile. Chi poteva affidare un altro film ad un regista che a settant’anni si dimostrava il più scomodo e disincantato del suo tempo, quello in cui s’interruppero le emozioni.
LA VOCE DELLA LUNA (Italia-Francia, 1990) di Federico Fellini, con Paolo Villaggio, Roberto Benigni, Nadia Ottaviani, Angelo Orlando, Patrizio Roversi, Siusy Bladi, Vito, Eraldo Turra. Commedia fantastico grottesco. *** ½