Deve «imparare a suonare tra le fessure dei tasti bianchi e neri», Roy Scheider, che prima di essere il colonnello Jack Knowles è anzitutto Roy Scheider, uno di quegli attori che attraversa lo schermo essendo in primo luogo se stesso e la sua storia immaginata, facendo raccontare al suo volto tumefatto le mille peripezie a cui l’antieroe americano deve sottoporsi per sbattere la faccia contro il muro della rinuncia, e cioè il credere alla speranza che il mondo possa essere l’America sognata.
La quarta guerra («Non posso prevedere come sarà combattuta la Terza guerra mondiale; posso, però, prevedere che la Quarta guerra mondiale sarà combattuta con clave e pietre») è subito un cinema di facce che hanno ceduto alla storia, di occhi liquidi che hanno visto le famigerate troppe cose, come quelli sadicamente burocratici del generale Harry Dean Stanton (fenomenale nel monologo sulla guerra privata). Di ferite invisibili anziché no inferte dalla guerra, sia essa quelle perenne che la cosiddetta fredda: chi davvero ha fatto il Vietnam, chi è sopravvissuto all’America matrigna, sa cosa vuol dire la morte.
Ma se l’aria sta cambiando, se al nemico bisogna portare un rispetto mai richiesto nemmeno in tempo di distensione, se si ribalta il sistema entro il quale s’è incardinata una vita oltre la guerra, come può un uomo educato all’odio – così come il suo contraltare, il duellante sovietico Jürgen Prochnow con cui si scontra per antica, perversa consuetudine – ricollocarsi in un mondo estraneo alle dicotomie del passato, finendo dunque per esserne un retaggio da rottamare?
In questa trenodia al clima della guerra fredda, realizzata all’indomani della caduta del muro, abitata da un personaggio estraneo alla vita senza il conflitto, alcolico da qui all’eternità e ligio al dovere militare, tutto è allusione allucinata a qualcosa che si decanta nell’attesa della deflagrazione finale: dalla festa a sorpresa con i “tanti auguri” che suonano da benservito o da monito per il futuro alle palle di neve come coreografie di una guerra che nessun superiore ha disposto.
Con la regia trasparente di chi piega il mestiere alle ragioni del disincanto, John Frankenheimer rivendica la sua autonomia combattendo anch’egli la sua piccola guerra privata («anch’io sono disilluso dalla vita» fa dire al generale) contro un cinema immemore e sbadato, mettendo su un duello spregiudicato, sanguinario, folle, inaudito come pochi altri in quella stagione, raggiungendo nel finale nouvelle vague colmo di fermoimmagini una limpidezza di rara crudeltà.
LA QUARTA GUERRA (THE FOURTH WAR, U.S.A., 1990) di John Frankenheimer, con Roy Scheider, Jürgen Prochnow, Harry Dean Stanton, Tim Reid, Laura Harris. Azione guerra drammatico. *** ½
L’ha ripubblicato su BY LORENZO CIOFANI.
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