MARVIN (Francia, 2017) di Anne Fontaine, con Finnegan Oldfield, Isabelle Huppert, Charles Berling, Catherine Mouchet, Catherine Salée, Grégory Gadebois, Rebecca James. Drammatico. ** ½
Senza seguire la successione cronologica degli eventi, l’eroe titolare reinterpreta il proprio racconto di formazione: grazie al montaggio che alterna passato e presente, Marvin sublima l’esperienza personale in una dimensione artistica sia letteraria che performativa, mettendo in contatto il sé stesso ristrutturato dalla fuga in città al sobborgo del passato pressappoco incapace di scindere la realtà dalla sua libera rappresentazione.
Sta tutto qui il cuore del film, esempio del cinema fisico e sensuale di Anne Fontaine, abitato da un personaggio battezzato con nome assurdo (Marvin Bijoux) da una madre incompetente nell’esprimere il materno del ruolo e un padre volgare, aggressivo, alcolizzato ed omofobo. Piccolo particolare: Marvin capisce già in tenera età di essere attratto dal sesso maschile, anche quando viene praticamente violentato nei corridoi della scuola da bulli omofobi quanto repressi.
C’è da dire che si impone fin troppo programmaticamente il cliché del gay triste che evade dalla provincia gretta e bigotta per scoprire nella metropoli le infinite possibilità del vivere in nome del piacere. E ciò benché tutti gli elementi siano al loro posto, con una correttezza abbastanza indubitabile come filone impone; e che tuttavia non permette di essere colti dallo stupore di qualcosa d’inatteso, se non di adagiarsi sullo sguardo di Marvin come unica misura della narrazione.
Eppure in questo lungo e non sempre indovinato coming of age sull’avventura dell’identità – comprendente anche un cambio di nome che sa di riconquista della verginità ed attestazione di radici rinnegate – c’è spazio per un’idea meravigliosa: Isabelle Huppert che interpreta un’ipotesi di se stessa come improvviso angelo custode del protagonista improvvisamente privato del punto di riferimento. La sua presenza permette da una parte di incanalare il trauma della formazione nel teatro, essendone lei stessa un’incarnazione, per renderlo altro da sé e dall’altra di suggerire un accenno di lunare realismo nelle corde della divina.