VITTORIA E ABDUL (VICTORIA & ABDUL, G.B., 2017) di Stephen Frears, con Judi Dench, Ali Fazal, Eddie Izzard, Tim Pigott-Smith, Simon Callow, Michael Gambon, Olivia Williams. Commedia drammatico biografico storico. ** ½
Insomma, pare che alla tenera età di ottantadue anni la regina Vittoria abbia stretto amicizia con un giovane scrivano indiano, mandato nel Regno Unito come rappresentante della terra assoggettata per consegnarle una medaglia celebrativa. Ora, la sovrana entra in scena più ingrugnita che mai, è stanca del cerimoniale, mangia come un’ingorda fregandosene dei commensali e non ha particolari rapporti coi familiari.
Quando vede Abdul, che incrocia i suoi occhi nonostante il protocollo lo vieti severamente, la donna risorge. Pretende di averlo come valletto, si fa insegnare l’indiano, comincia a leggere il Corano. Tutto questo, sembra dire il beffardo Frears (specialista del biopic), sembrerebbe derivare da un dato evidente quanto inespresso: la regina è invaghita di un esotico ragazzo che potrebbe essere suo nipote, desidererebbe che fosse il suo toyboy ma sa benissimo che non è il caso.
Sul resto, cioè i discorsi sulla scoperta degli orizzonti altrimenti impossibili tra le mura di Buckingham Palace, è forse opportuno sospendere giudizi. Cosa dovrebbe spingere una regina diventata imperatrice a capire le ragioni di sudditi dai quali mai sarà riconosciuta? Perché la donna più potente del suo tempo dovrebbe lasciarsi affascinare da una cultura (e da una religione) lontanissima da lei?
Frears ha chiari i limiti storici e politici : perciò sceglie la strada meno ovvia, cioè la commedia di corte, in cui Vittoria rappresenta la nazione più suggestionata dall’esotismo, curiosa più per lanciare mode ed imporre sguardi che per un effettivo interesse, comunque abituata ad ottenere tutto ciò che il suo ruolo le permette di pretendere.
È una bella storia, insomma, perfino natalizia come da tradizione anglosassone, magari non proprio attendibile né credibile ma che salva capra e cavoli: permette agli inglesi di presentarsi più civili e tolleranti di quanto fossero (sono?) e, di conseguenza, proporre una lettura parallela col presente dominato dall’incomunicabilità tra popoli distanti ma fusi in un mondo globalizzato sempre diviso tra servi e padroni.
Dame Judi Dench, per la terza volta nei panni di una regina e per la seconda come Vittoria, è naturalmente ineccepibile, un talento senza paragoni nel calibrare ironia e fierezza, l’attrice ideale per un film formalmente impeccabile se non accademico e che in cuor suo sa di non poter essere fino in fondo la commedia negata dalle piaghe della storia.
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