Venezia 74 | Recensione: Una famiglia

UNA FAMIGLIA (Italia-Francia, 2017) di Sebastiano Riso, con Micaela Ramazzotti, Patrick Bruel, Pippo Delbono, Fortunato Cerlino, Matilda De Angelis, Ennio Fantastichini, Marco Leonardi. Drammatico. * ½

Per ragioni che ora non è il caso di convocare, il cinema italiano degli ultimi venti o trent’anni non è stato quasi mai capace di imporre temi sociali attraverso la sublimazione insita al mezzo cinematografico, a differenza di quel solido passato sempre celebrato ma comunque appartenente ad una stagione altresì irripetibile. Quindi non tiriamo in ballo, come al solito, i maestri del cinema socio-civile del passato e cerchiamo di capire quale possa essere l’impatto degli autori contemporanei nel panorama d’oggi e quanto riescano ad intercettare urgenze della società nella dimensione artistica di un film in grado di resistere all’attualismo.

Prendiamo Una famiglia, opera seconda di Sebastiano Riso: storia di una coppia che campa concependo figli per coloro che non possono averne. Uno squallido mercato nero in cui i genitori naturali sono solo i tasselli di un mosaico criminale più ampio nel quale convogliano altre figure quali i medici, i mediatori, i faccendieri, i genitori adottivi.

È evidente la poderosa ed inquietante potenza di un tema del genere; ma è altrettanto palese la debolezza di Riso nel sostenerne il peso della storia senza restare intrappolato, incapace di discostarsi dalla volontà di denunciare un problema senza proporre soluzioni narrative e visive all’altezza della lunga durata (quasi due ore).

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Laddove la sua regia si presenta con una forza estetica desiderosa di lasciare il segno, nella fattispecie attraverso una panoramica a 360° nel cortile del palazzo dove abitano i protagonisti, il film è cannibalizzato dall’esaltazione virtuosistica di uno sguardo senza controllo né equilibrio, che mostra il fiato corto proprio quando l’azione avrebbe bisogno di soluzioni meno banali di un calarsi nel buio per i momenti più cupi o l’oggettività morbosa nell’osservare la violenza, per esempio, della spirale o la cattiva direzione degli attori (Ennio Fantastichini gay grida vendetta, Fortunato Cerlino ha una sola espressione, Pippo Delbono al cinema non funziona).

Melodramma raggelato, incatenato al macigno che intende raccontare, Una famiglia merita l’attenzione dovuta ad un film comunque audace benché irrisolto e mai coinvolgente quanto potrebbe essere. Incredibile la presenza di Patrick Bruel, che giustamente si chiama Vincenzo (in origine Vincent) e sul cui passato sappiamo quanto basta per capirci poco, e naturalmente ovvia la prova di Micaela Ramazzotti, al solito intenza ragazza dar core d’oro che cià i probblemi a Roma capoccia der monno ‘nfame.

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