ANGELS WEAR WHITE (JIA NIAN HUA, Cina, 2017) di Vivian Qu, con Wen Qi, Zhou Meijun, Shi Ke, Geng Le, Liu Weiwei, Peng Jing. Drammatico. ***
Un’adolescente senza nessuno al mondo (leggi: documenti) è l’unica testimone di una violenza sessuale su due ragazzine avvenuta nell’albergo in cui lavora. Pur di non perdere l’impiego, si rifiuta di collaborare, finché la tenace avvocato di una delle vittime la convince a parlare. Le si chiudono molte porte, ma si apre ad un’ipotesi di libertà inattesa nella Cina zeppa ovunque di affissioni con su scritto “Servire il popolo”.
Il sesso scoperto nel modo più traumatico in opposizione al sesso esposto dalle gambe di Marilyn, raffigurata nell’imponente statua ai cui piedi si rifugia la protagonista, cercando in quell’iconografia la possibile emancipazione da un mondo tetro ed omertoso. Al crocevia di esperienze personali ove convogliano i contraccolpi della terribile vicenda alla stregua di un psicodramma collettivo, un coacervo di presenze femminili che a loro modo cercano di uscire dal dramma dell’impotenza.
Vivian Qu sublima il melodramma in una visione agghiacciante dell’inquietudine contemporanea, intuendo la doppiezza di una realtà impalpabile nonostante sia ripresa dalle telecamere. Il suo film incalza e non lascia via d’uscita, teorizza l’inafferrabilità della verità e la disperata solitudine del singolo contro l’organizzata e minacciosa potenza del gruppo.
Suggellando il doloroso apologo con un finale abbastanza sconvolgente, la regista trova la storia perfetta per osservare criticamente il ruolo riservato alle donne nel contesto culturale, politico e sociale della sua nazione, non lasciando scampo alla prospettiva priva di speranza che le cose possano finalmente volgere verso l’attuazione dei diritti fondamentali. Magari si compiace un po’ del suo stile vagamente virtuosistico, ma ad avercene.