SWEET COUNTRY (Australia, 2017) di Warwick Thornton, con Sam Neill, Bryan Brown, Thomas M. Wright, Matt Day, Ewen Leslie, Anni Finsterer. Western drammatico. ***
Grandi spazi, terre aride, neri schiavi, padroni bianchi. E non siamo in America ma in Australia, patria di Warwick Thornton, regista di origini aborigene che sceglie di raccontare un dimenticato dramma locale avendone individuato la dimensione universale, capace di parlare a più popoli senza fermarsi ai confini dell’isola.
Minacciato e vessato da un reduce di guerra alcolizzato e violento, un mezzano aborigeno, che lavora per un misericordioso padrone bianco, lo uccide per salvare la moglie e la nipote. Verrà processato secondo le leggi ufficiali, malgrado la popolazione osteggi il metodo con cui giudicare il delitto di un essere considerato inferiore.
Rievocando la dimensione western dell’archetipo americano, Thornton trova in questa storia il manifesto del suo approccio civile all’umanità che ha pagato un tributo di sangue per veder riconosciuti i diritti fondamentali. Proprio in virtù di questa curiosa corrispondenza con gli Stati Uniti, Sweet Country non sembra nemmeno il film di una cinematografia più periferica o comunque sicuramente meno centrale nel panorama internazionale.
Prima laconica e severa nel costruire l’attesa e calibrare la tensione e poi politica e tesa quando prende la strada del courtdrama en plein air, è una riflessione sul senso della giustizia intrecciata al razzismo della massa in opposizione alla debolezza del singolo, profondamente intessuta di pensiero religioso per come si pone in dialettica rispetto all’assenza di pietas ed umanità nella comunità.
La speranza è negli occhi del ragazzino, smarrito e privo di riferimenti ma predisposto a poter prendere in mano le sorti di un mondo destinato a cannibalizzare se stesso per troppa violenza, e il pegno da pagare è un ennesimo sacrificio sull’altare del torto, erigendo monumenti a chi ha servito la causa nel modo più radicale possibile.