Venezia 74 | Recensione: Hannah

HANNAH (Italia-Francia-Belgio, 2017) di Andrea Pallaoro, con Charlotte Rampling, André Wilms. Drammatico. ***

Novantacinque minuti, sempre in scena. Avrebbe dovuto chiamarsi The Whale, la balena, come l’animale spiaggiato che compare verso il finale per riferire la metafora (una volta tanto necessaria) di chiara ascendenza felliniana ma ormai emancipata dal moloch. E invece s’intitola Hannah, il secondo film diretto dal cosmopolita trentino Andrea Pallaoro, perché il film appartiene a lei, alla protagonista titolare, a Charlotte Rampling.

Questa grandissima attrice, giunta ad una maturità espressiva senza paragoni, invade la scena con la presenza dimessa, il corpo cadente, lo sguardo ipnotico, il volto devastato: è il suo one woman show, un Rampling-movie come può permettersi un paio di interpreti europee (e forse mondiali). Nella parte di una donna la cui vita è distrutta dall’incarcerazione del marito, accusato molto probabilmente di pedofilia, Rampling capisce l’intento del suo regista col quale agisce in totale armonia.

A prima vista antinarrativo, Hannah è uno stato d’animo che si articola nel peregrinare ora domestico ora metropolitano di un’evanescenza corporea, il luogo abitato da una figura ectoplasmatica che rivendica continuamente la sua essenza attraverso attività quali il nuoto o la recitazione, mettendo letteralmente in scena i segni del tempo sulla pelle e gli occhi incavati di fronte ad una triste cena solitaria.

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Pallaoro pedina il personaggio nella sua intimità, cogliendone gli aspetti più ignominiosi (il ritiro dell’abbonamento, il respingimento da parte del figlio) senza il minimo accenno di pornografia emotiva, raggelando l’immagine fino a raggiungere cromatismi inospitali come la città indefinibile che fa da sfondo alla storia (la metropolitana è di Roma, gli esterni a Bruxelles, la lingua è francese…).

Film disturbante, che monta la tensione fino ad un finale che nega l’ineluttabile perché forse troppo insostenibile, è un lavoro di caratura europea che potrebbe andare molto lontano e dimostra quanto il cinema italiano possa essere altro da sé. Un thriller senza azione, un giallo esistenziale, un percorso di ricerca che scandaglia l’intimità violata di una donna ferita a morte dal non riuscire a comprendere ciò che le sta accadendo attorno.

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