NEMESI (THE ASSIGNMENT, U.S.A.-Francia-Canada, 2016) di Walter Hill, con Michelle Rodriguez, Sigourney Weaver, Tony Shalhoub, Anthony LaPaglia, Terry Chen, Ken Kirzinger, Paul McGillion. Thriller. ****
Un po’ visita, un po’ interrogatorio, un po’ seduta psicanalitica. E un po’ metafora, ma senza esagerare. Siamo in una stanza vuota e c’è un medico in camice di fronte ad una donna con la camicia di forza. Anche lei è un medico, benché le abbiano tolto l’abilitazione: ha tre lauree con lode e un curriculum di peso che ne dimostrano il valore. Donna intelligentissima, che fa colazione con Shakespeare e teorizza la propria arte nel solco di Poe. Ed è una criminale.
Non si anticipa niente dicendo che al centro del film c’è un cambiamento di sesso, non fosse altro per l’esplicita del titolo originale. Il medico con la camicia di forza ha fatto rapire il killer che le ha ucciso il fratello scapestrato (ma grande collezionista d’arte) e, anziché onorare l’atavico “occhio per occhio”, va oltre: lo opera, a sua insaputa, per riassegnargli il genere.
Molti hanno parlato della performance di Michelle Rodriguez in termini più che meritevoli, ed è infatti molto credibile nel tratteggiare il disagio di ritrovarsi in un corpo che nella finzione non le appartiene, così come lo è come disperata e spietata eroina in cerca di una vendetta comunque irreversibile.
Ma il cuore del film ci pare essere la magnifica Sigourney Weaver. Narratrice e glossatrice della storia, donna del rinascimento votata ad un bene personale possibile solo perpetuando il male altrui, con una vocazione al delirio d’onnipotenza incanalata nella chirurgia plastica, è una presenza inquietante e mefistofelica in abiti maschili, il cui volto segnato dall’età la mette accanto a dive del passato impegnate in operazioni simili (Bette Davis, Joan Crawford…).
Walter Hill, spericolato e tormentato maestro del conflitto, esalta la recitazione di queste due attrici – ieratica la Weaver nella sua perturbante severità, muscolare la Rodriguez dal volto umiliato e ferito – tanto da renderle in armonia con gli allacci fumettistici inseriti per ovviare artisticamente alle carenze di un budget risicato. E forse anche la dimensione narrativa sembra suggerire questa problematica, mettendo in scena non di rado l’ipotesi di un thriller che non può più essere.
Magari il film non sa più come comunicare ciò che l’autore vuole furiosamente esprimere, magari l’immaginario è fermo ad un’epoca troppo retrò (la prima stesura dello script di Denis Hamil risale al 1978), magari, magari, magari. Ma Nemesi è uno straordinario atto di cinema, coerente ed indefesso nel suo pessimismo fenomenologico. Trova la sua potenza nell’ostinata ricerca di un equilibrio tra la teoria dell’horror consumata nei discorsi intellettuali del personaggio della Weaver e l’adrenalinico revenge-movie nel quale si ritrova la Rodriguez nei bassifondi della criminalità.
Tutto gira attorno al dolore dell’identità, alle prigioni del genere, all’(auto)analisi della crudeltà. Due schermi per due confessioni che intendono dirigere un pubblico: la dichiarazione della Weaver agli inquirenti e il video autobiografico della Rodriguez per i posteri. Walter Hill è un gigante fragile, disinteressato alla bella immagine, fuori tempo e senza tempo: ad avercene.