35° Torino film Festival | Recensione: Barrage

BARRAGE (Lussemburgo, 2017) di Laura Schroeder con Lolita Chammah, Themis Pauwels, Isabelle Huppert, Elsa Houben. Drammatico. **

Una giovane e fragile donna torna a casa all’improvviso per riconciliarsi con la figlia decenne, affidata alle cure della rigida nonna che l’ha cresciuta con amore e disciplina, nella speranza di farne una campionessa di tennis come tradizione di famiglia impone. Decisa a farsi riaccettare dalla bambina, la mamma cerca di connettersi ai suoi silenzi, avventurandosi in un’imprevista fuga nei luoghi del passato.

Debutto di Laura Schroeder, è un film completamente al femminile che abbraccia tre generazioni escludendo quasi del tutto gli uomini, relegati alla presenza sfuggente ma rassicurante del nonno/marito/papà e dal ricordo un po’ inquietante del capostipite che inaugurò la saga familiare nel campo sportivo. Il padre della bambina semplicemente non esiste.

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Rarefatto gioco al massacro relazionale che si misura nel triangolo affettivo, ha il suo limite nel titolo dichiaratamente liminare: la diga è quella che riesce a deflagrare soltanto nel prefinale, dove esplode la tensione panica del romanzo di formazione en plein air, con la natura resa maligna dall’abuso di antidepressivi. Ma promette troppo tardi qualcosa che il film non può più essere.

A differenza di queste minacciose acque, il freddo melodramma scorre lento e silente, perdendosi in pretestuosi inserimenti musicali e stonati momenti onirico-memorialistici ed è stranamente cannibalizzato dalla dialettica metacinematografica tra Isabelle Huppert e sua figlia Lolita Chammah: benché la seconda sia precisa nel ruolo, lo scontro è talmente impari da farci sperare costantemente ed invano in una sua presenza più frequente.

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