Recensione: The Big Sick

THE BIG SICK (U.S.A., 2017) di Michael Showalter, con Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Holly Hunter, Ray Romano, Adeel Akhtar, Zebobia Shroff, Bo Burnham, Anupam Kher. Commedia drammatica. ****

Pura autofiction: Kumail, il protagonista, è effettivamente Nanjani. The Big Sick racconta la sua stessa storia, comico pakistano al capezzale della sua (ex) ragazza newyorkese, tenuta nascosta alla famiglia da decenni trapiantata in America ma rimasta spiritualmente nella terra d’origine. A suggellare il dialogo tra biografia e fiction, la sceneggiatura è scritta dall’attore con la moglie, Emily V. Gordon: il nome della ragazza resta identico, sottolineando il desiderio di autenticità.

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Fosse solo questo, sarebbe un ennesimo quanto non banale esempio della tipica tendenza di molto cinema indie americano di reinterpretare le proprie esperienze reali seguendo canoni e codici del filone (la camera a mano, le famiglie disfunzionali, i feticci della pop culture…). In realtà il film, che ha il marchio identificativo di Judd Apatow (uno che a forza di commedi(ol)e ha detto cose verissime e scomode sui non-detti della nazione), rappresenta un serio, intelligente e consapevole tentativo di rinnovare una vocazione della commedia americana.

The Big Sick, infatti, è anzitutto una romcom sull’incontro-scontro di due culture che, ad un certo punto, diventa l’ipotesi di una commedia del ri-matrimonio all’epoca della negazione del matrimonio. Legato alla tipicità locale del concetto, Kumail rifiuta l’idea del matrimonio combinato e, di conseguenza, dell’intero sistema matrimoniale. Non volendo comunque rinunciare al legame con la famiglia, sceglie di precluderselo per poter continuare la sua love story con Emily.

Nel momento in cui Emily decide di lasciarlo perché non condivide l’approccio, ecco che subentra il destino a fornire un ostacolo da superare per far unire nuovamente i due eroi. Non ci sono più i divorzi, i tradimenti, le contraddizioni che questo tipo di commedia offriva nelle dinamiche di Leo McCarey o Howard Hawks: a determinare la narrazione è l’essere americani oggi, con gli infiniti contraccolpi dell’11 settembre nel quotidiano di un islamico non praticante nel tessuto sociale ed emotivo della nazione che tutti accoglie.

Ma il problema non è di Emily o della sua famiglia, liberal quanto basta da poter convogliare le proprie perplessità in una battaglia dove il ragazzo è quasi un pretesto per riaffermare principi solidali ed umani (la litigata al locale). Come ben spiega il suo spettacolo non esattamente divertente, è una questione scientemente irrisolta per Kumajil, sospeso tra la volontà di rendere edotto il prossimo sul suo background e la necessità di mantenere un rapporto spirituale con le radici (l’uso dell’hurdu, la vita domestica dai genitori, le bugie alla madre).

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Pur non essendo nato con questi obiettivi, The Big Sick diventa così un altro tassello della grande narrazione anti-trumpiana che il cinema americano sta componendo per rafforzare il legame con un pubblico pericolosamente suggestionato dall’industria della paura. Lo fa dentro la commedia romantica, il più ecumenico dei non-generi, accompagnando i due eroi verso un indispensabile lieto fine favorito, volente o nolente, dal coro di comprimari (note agli splendidi, fragili, nevrotici Holly Hunter e Ray Romano).

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