Recensione: Come un gatto in tangenziale

COME UN GATTO IN TANGENZIALE (Italia, 2017) di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Claudio Amendola, Luca Angeletti, Antonio D’Ausilio, Alessandra Giudicessa, Valentina Giudicessa, Franca Leosini. Commedia. *** ½

Se Mamma o papà? cercava di costruire una coppia che rinverdisse i fasti di Alberto Sordi e Monica Vitti in una prospettiva di commedia contemporanea sprovincializzata ed esportabile, con Come un gatto in tangenziale – sempre diretto da Riccardo Milani – Paola Cortellesi e Antonio Albanese trovano l’occasione per affrontare (meglio) un discorso più personale e al contempo nel solco della tradizione nostrana. Non a caso, il primo era un remake, mentre qui si tratta di un soggetto originale.

Certo, stringi stringi, di originale c’è poco: l’incontro-scontro tra due mondi, un Ferie d’agosto urbano e ai tempi del grillismo (i politici sono disprezzati da tutti). Da una parte, un intellettuale che lavora in un think-thank, impegnato nel rappresentare agli organi europei progetti di riqualificazione delle periferie romane. Dall’altra, una che è davvero borgatara, abita a Bastoggi con le sorellastre mariuole e c’ha il marito al gabbio. I loro destini s’incrociano quando la figlia di lui si fidanza con il figlio di lei.

E quindi, sì, a partire da un canovaccio vecchio come il mondo si sviluppa una storia meno banale di quanto voglia far credere l’apparenza, che torna nella trincea di una periferia – sorcina (il campanello!) ed estranea al mondo civilizzato – dopo il debole Scusate se esisto!, dove a quel rammendo teorizzato da Renzo Piano rispondeva l’entusiasmo di un’architetta costretta a farsi credere uomo. Ma una piccolissima borghesia c’era già in certi sprazzi domestici di Benvenuto presidente!, senza dimenticare gli operai de Il posto dell’anima.

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Qui l’appiattimento sugli apparenti stereotipi suggeriti dai costumi e dal trucco significanti dei personaggi è solo una questione formale, perché c’è un’attenzione ai dettagli contenutistici che non si vede nella maggior parte della commedia contemporanea (esclusi Paolo Virzì e Carlo Verdone). Se c’è una cosa che il cinema di Milani sa mettere in scena è proprio questo gusto spudorato nel definire i tratti dei protagonisti e gli spazi dedicati a caratteristi mai banali, qualcosa che ha davvero le radici nella nostra commedia migliore.

In questo senso Milani – regista che lavora in nome della trasparenza e del mettersi in disparte – è un gran direttore d’attori, che comunque qui sono un po’ meno rispetto al suo solito. Certo la splendida Sonia Bergamasco (che a lui deve una nuova carriera nella commedia), ex moglie radical chic che coltiva lavanda in Provenza e parla francese alla figlia, nonché Claudio Amendola, tatuato e coattissimo, in un cammeone che avrebbe meritato di più. Ma Milani indovina soprattutto le clamorose gemelle Giudicessa: ogni volta che appaiono queste due disgraziate obese, candide, cleptomani, cantilenanti, battezzate Sue Ellen e Pamela in omaggio a Dallas, ossessionate da Storie maledette (meravigliosa epifany di Franca Leosini), non si trattengono le risate.

Ebbene, la sceneggiatura di Milani stesso, Cortellesi, Furio Andreotti (storico autore dell’attrice) e Giulia Calenda (figlia di Cristina Comencini: pura borghesia capitolina) non ha solo un ritmo straordinario, ma riesce a pennellare benissimo non tanto le ipocrisie o le contraddizioni del ceto di Albanese né le brutture o le rozzaggini dell’universo di Cortellesi, quanto piuttosto a cavalcare con intelligenza le loro deformazioni, sottolineando i punti di contatto nella diffidenza reciproca e nel progressivo impararsi a (ri)conoscere.

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Nonostante qualche deviazione languida nel finale, Come un gatto in tangenziale – un altro titolo che adotta un modo di dire o un’espressione gergale dopo Se Dio vuole, Perfetti sconosciuti, Beata ignoranza… – è forse una delle prime, vere commedie contemporanee a non abbandonarsi alla melassa del non credere fino in fondo alla sua dimensione satirica. Tant’è che poco prima del termine c’è quell’incredibile pranzo a determinare un’impossibile alleanza. Oppure no? Se tutto regge è anche merito anche dell’intelligenza con cui gli strepitosi Albanese e Cortellesi danno ai loro personaggi credibilità e al contempo ironia. Grandissima commedia. All’italiana? Sì, ma senza complessi.

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