Far East Film Festival 20 | Recensione: Youth

YOUTH (芳华, Cina, 2017) di Feng Xiaogang, con Xuan Huang, Miao Miao, Yang Caiyu, Li Xiaofeng, TianChen Wang, Yan Su. Drammatico. *** ½

Cina, rivoluzione culturale. Entrata nel corpo di ballo dell’esercito maoista, la giovanissima He Xiaoping cerca di emanciparsi (leggi: dimenticare) da una triste realtà familiare fatta di umiliazioni e rifiuti. Povera lei, si ritrova a contatto con compagne che la bullizzano senza pietà né ragioni, accusandola di scarsa igiene e falsità morale. Per fortuna c’è il buon Liu Feng, l’unico a dimostrarle affetto e compassione. Intanto Mao muore e i ragazzi vanno in guerra.

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Negli ambienti della cinefilia filorientale, Feng Xiaogang è conosciuto come lo “Spielberg cinese”. Nella sua sontuosa regia si ravvisa, come in quello del cineasta americano, il creativo ed eclettico sguardo di un autore capace di modulare il suo talento secondo un’ambizione per certi versi davvero spericolata. Qui, dentro il libero macrogenere dell’affresco storico, trova l’occasione per declinare la sua matrice epica secondo registri differenti e temerari.

La struttura in tre atti, di durata variabile e non statica, permette a Feng di passare da un coming of age crudele e severo passando per il più rigoroso e violento war movie fino ad epilogo mélo non circoscritto ad una sola epoca e che sembra quasi non voler mai finire. In ogni caso riesce con sapienza a trasmettere il dramma intimo e represso di una generazione destinata a crescere dentro dinamiche tese a mettere alla prova il loro senso di adattamento a gruppi democratici solo in teoria.

Pur lasciandosi lambire dalla trappola dello schema programmatico, Youth racconta – come annuncia il titolo – una giovinezza problematica, complessa, tiranna. Che sebbene sia rivelata con evidenza dalla prima parte, ambientata in un cinico – e sessualmente controllato benché non privo di una provocante dimensione conturbante – contesto scolastico, naturalmente portato a rappresentare le ambiguità adolescenziali, raggiunge l’apice nel finale adulto in cui si tirano le somme di esistenze solo superficialmente nostalgiche.

Per arrivarci, Feng sceglie di allacciare primo e secondo atto con un episodio dal clima glaciale, prebellico, dove le danzatrici sono chiamate ad esibirsi di fronte all’esercito: alla massima aspirazione di una vendetta mascherata da fortunate circostanze della competizione, la protagonista risponde con un’indecifrabile paura maledettamente incompresa che presagisce la catabasi del suo percorso successivo.

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Accanto alle ragazze variamente infami, le figure di Xiaoping e Feng hanno grandiose caratteristiche cristologiche, corpi che esprimono infinita purezza, tipiche di due martiri sottoposti dalla loro nazione ad affrontare le prove più meschine per superare il trauma della giovinezza: se lei incanala dal principio un dolore che infine lascia esplodere nel mutismo e nello smarrimento, lui è protagonista di un lungo pianosequenza al fronte che ne testa la strenua adesione ad una vita immune alla cattiveria.

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