Recensione: Si muore tutti democristiani

SI MUORE TUTTI DEMOCRISTIANI (Italia, 2018) di Il Terzo Segreto di Satira, con Marco Ripoldi, Massimiliano Loizzi, Walter Leonardi, Valentina Lodovini, Renato Avallone, Francesco Mandelli, Claudia Potenza, Augusto Zucchi, Cochi Ponzoni, Martina De Santis, Paolo Rossi, Lucia Vasini. Commedia. ***

Prosegue il bagno di sangue dei debutti sul grande schermo di youtuber, chiamando con questa orrenda parola tutti quei videomaker emersi nel mare magnum del web e approdati al cinema ora espandendo l’universo e l’immaginario dei loro lavori brevi ora osando qualcosa di meno programmatico e diverso nella forma. Un po’ come quando, un decennio fa, a qualunque comico di Zelig era concesso l’onore del film (stagione per fortuna finita).

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Per limitarci ai collettivi, dopo il fallimento di The Pills (bravi autori e attori di sketch ma incapaci di reggere la lunga durata) e l’ambizione di The Jackal (che hanno perlomeno azzardato qualcosa di meno ombelicale), è il turno de Il Terzo Segreto di Satira, attivo da molti anni e praticamente infallibile nel racconto della perenne crisi politica dentro il Pd (indimenticabili gli sketch del Dalemiano e Natale col Pd).

Chiaramente Si muore tutti democristiani si rivolge ad un pubblico preciso, non necessariamente emanato dalla fruizione precedente, sia quella in rete che televisiva, né per forza coincidente con i protagonisti del film. Cioè i trenta-quarantenni che Raffaele Alberto Ventura ha raccontato in Teoria della classe disagiata: gente attiva nei vari settori dell’industria culturale, che ha molto e a lungo studiato con la prospettiva di un futuro solido e a cui il sistema capitalista ha promesso più di quanto stia effettivamente dando.

Dentro questa insoddisfazione, il collettivo sviluppa un autoritratto ironico che innesca un dialogo interessante tra realtà generazionale e finzione specifica, mettendo al centro della scena proprio un collettivo di videomaker che si arrabatta come può dopo aver realizzato un documentario sull’Africa: fanno i filmini ai matrimoni e spot ridicoli per il sindacato timoroso, gli assistenti universitari, i mantenuti dal suocero con la fabbrichetta, affittano per Air bnb.

Quando ricevono la proposta di girare uno spot per una Onlus rivelatasi traffichina, ecco il dilemma: è meglio fare le cose pulite con i soldi sporchi o le cose sporche con i soldi puliti? Con grande intelligenza, rielaborando tutta quella coscienza forgiata dal primo Nanni Moretti e passando attraverso il cinema di Paolo Virzì e Francesco Bruni senza mai perdere l’ancoraggio alla propria realtà precaria, TSS racconta un mondo che non vediamo quasi mai al cinema.

Come The Pills con Roma e The Jackal con Napoli, TSS è espressione di una Milano borghese e fighetta che costa più di quanto i suoi consumatori possono permettersi, dove ci si sposta in bici ma il traffico genera ritardi, il car sharing è appannaggio di chi si comporta come chi una macchina potrebbe comprarsela e forse potrebbe solo chiedere al suocero di intestargliene una. In questo senso Francesco Mandelli è un’ottima scelta di casting e incide bene come “milanese imbruttito”.

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Assistito dalla penna esperta di Ugo Chiti e sotto l’egida rosé di Beppe Caschetto (le locandine dei film da lui prodotti appesi alle pareti dell’ufficio…), il collettivo tesse i frammenti di un discorso politico, sviluppando la consueta dimensione dello sketch in una struttura tanto capace di momenti folgoranti – il filone dell’ombrello e il dialogo con Lilli Gruber e Peter Gomez che suggellano il côte onirico di Enrico – quanto sgangherata nel far dialogare le tre storie dei protagonisti (in parallelo Enrico e Fabrizio, più avanti e in solitaria quella di Stefano).

Sia la fuga di Fabrizio verso sud alla ricerca di remake impossibili sia le verità omesse da Stefano in merito al G8 di Genova rivelano un infinito romanzo di formazione sugli appuntamenti mancati degli ex giovani disincantati diventati grandi dopo Tangentopoli, postmoderni ma non ancora postideologici, rassegnati a rimpiangere quel “quando si stava peggio” paventato dal titolo di suprema sprezzatura. Una delle commedie più amare e interessanti di questi anni.

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