UNSANE (U.S.A., 2018) di Steven Soderbergh, con Claire Foy, Joshua Leonard, Jay Pharoah, Juno Temple, Aimee Mullins, Amy Irving, Matt Damon. Thriller. *** ½
Aveva annunciato il ritiro e invece – sia lodato il dio del cinema – rieccolo, Steven Soderbergh, impegnato ancora una volta a ridefinire i confini di un mezzo, il cinema, che attraverso il suo sguardo riesce continuamente ad assumere la forma più audace ed inattesa per esprimere una coerente e indefessa idea di mondo.
Lontano dalla macchina da presa – escludendo la parentesi televisiva di The Knick – dal capolavoro Effetti collaterali, Soderbergh è tornato con La truffa dei Logan (film interessantissimo anche dal punto di vista produttivo, poiché volutamente non appoggiatosi ad una promozione classica) e, quasi a ribadire la bulimia scatenata di un autore mai rilassato, è subito riuscito con questo Unsane, che col precedente opus condivide un progetto votato alla leggerezza.
Come leggere altrimenti la scelta di girare un film con un iPhone (il 7 plus), se non nella prospettiva dell’ennesima, geniale variante di un discorso non solo iconoclasta ma soprattutto organico ad un’esplosiva espressione di creatività, nel senso in cui quest’ultima è direttamente legata al misurare l’ingegno alla prova di una struttura agile e spartana.
La trovata è quella di adattare questa scelta artistica e produttiva ad un contenuto non dissimile a quello di un tipico b-movie, specie se si tratta di un thriller pieno di evocazioni classiche. L’intuizione rivela sia la consapevolezza in merito ad un tipo di film perfetto per budget ristretti o limitati, che costringono il regista ad adottare industriose strategie di messinscena, sia la volontà di continuare nel solco di un discorso sull’immagine sempre più raffinato.
Con in mano un cellulare, come se fosse un passante o una presenza minacciosamente sempre in agguato, Soderbergh fa sentire lo scarto che intercorre tra lui e un aspirante videomaker super accessoriato nella profondità di uno sguardo che aggiorna il suo repertorio di inquietudini a forza di immagini distorte ed angolazioni a piombo, incombendo sui volti o lasciando i corpi ai margini dell’inquadratura.
La nitidezza fasulla del mezzo e la possibilità di intervenire sull’immagine in diretta lo mettono nella condizione di poter esplorare con la massima libertà il labirinto di una psiche inafferrabile, sfruttando proprio quell’incontrovertibilità visiva che si rivela essere quanto di meno comprensibile. La grande lezione sta qui: non importa lo strumento con cui stai agendo, è lo sguardo a determinare l’incubo oltre la patina, è il punto di vista a definire la sfida titanica contro un’impossibile verità.
Al centro della scena c’è una superba Claire Foy, davvero imprendibile nel suo essere vittima designata eppure sempre accompagnata dal timore di essere in una realtà parallela, ricoverata coattamente in una clinica per disturbi comportamentali, dove trova come infermiere lo stalker che l’ha portata alla pazzia.
Negli spazi sanitari, ricreati in un ospedale abbandonato, Soderbergh (come sempre anche montatore e direttore della fotografia, con gli pseudonimi Mary Ann Bernard e Peter Andrews) fa sentire tutta la paranoia e l’ansia di un thriller complesso e incredibile. E, grazie a quella leggerezza ricercata attraverso lo strumento, fa immergere lo spettatore in un’angoscia che non lascia scampo, un’allucinazione senza pace. Non solo una grande idea ma anche un film di straordinaria purezza, da un cineasta sempre clamoroso, che non risparmia una stoccata all’industria della paura contemporanea per via del feticcio Matt Damon, in un gustoso cammeo.
[…] Unsane di Steven Soderbegh. Voto: 8 […]
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