LES GARDIENNES (Francia, 2017) di Xavier Beauvois, con Nathalie Baye, Laura Smet, Iris Bry, Cyril Descours, Gilbert Bonneau, Oliver Rabourdin, Nicolaus Giraud. Drammatico. ***
Durante la Prima guerra mondiale, mentre gli uomini sono impegnati al fronte, le donne rimaste a casa mandano avanti la baracca, impegnandosi nei lavori lasciati vacanti dai maschi di casa. La fattoria della vedova Hortense non fa eccezione e, da quando sono partiti i due figli e il genero, ha assunto una ragazza, Francine, che l’aiuta per l’aratura dei terreni, la mietitura, l’allevamento, il lavoro domestico. Sola al mondo, la giovane, convinta di aver trovato una famiglia, conosce uno dei figli, tornato a casa in licenza.
Dopo il sacrificio degli Uomini di Dio, ecco quello delle donne, costrette a mantenere il fragile equilibrio dei loro universi messi in crisi dalla tragedia bellica. Nel volto sofferto della suprema Nathalie Baye ci sono la preoccupazione del non arretrare un momento rispetto alla responsabilità e l’angoscia di soffrire in eterno, il dolore del distacco dagli affetti e la tempra di chi non può permettersi di veder crollare il proprio castello.
Ed è proprio attraverso questo personaggio, ruvidamente teso ad una straziata ambiguità, che si percepisce l’insopportabile assurdità di una guerra da cui si è fisicamente lontani fintantoché le urgenze del cuore non impongono di cercare disperatamente le assenze in fredde cartine geografiche. Una sofferenza così fortemente tesa alla doppiezza da imporle una durezza innaturale pur di non disattendere al previsto progetto di ricostituzione.
In questo film naturalmente dominato dalle donne, funge da epicentro delle relazioni tra tutte le presenze femminili, sviluppando un’interessante dialettica in particolare con Francine. Figlia putativa, forse mancata perché diversa da quella ufficiale, ma anche rivale involontaria, ingranaggio che mette a repentaglio la stabilità, agnello da sacrificare sull’altare del pettegolezzo e di una rigida idea di famiglia, ha i capelli rossi e la dignità dell’inedita Iris Bry.
Tratto con qualche libertà da un romanzo del 1924 scritto da Ernest Pérochon che Henri-Georges Clouzot non riuscì a trasporre sul grande schermo, Les Gardiennes celebra senza retorica la (forse) dimenticata fatica delle donne durante la guerra (il titolo si riferisce proprio alla dimensione del custodire, in questo caso la terra) e al contempo non rinuncia ad incidere in una prospettiva melodrammatica abbastanza rarefatta in tempi lunghi ed economia della parola.
Dilatando la narrazione sia con l’intento di costruire una mitologia dell’attesa, dove gli anni che scorrono via via più incessanti, sia con quello di cogliere la bellezza di un incanto rurale contemporaneo ad un orrore visibile solo nella terribile fuga onirica e nei ritorni a casa, Xavier Beauvois sceglie una via naturalista, trasmettono attraverso splendidi immagini pittoriche un mondo a parte, in cui il silenzio è una precisa scelta di campo.
E così, pur chiedendo allo spettatore una fruizione disponibile all’indugio sul frammento aspettando pazientemente la composizione dell’affresco dove poi tutto torna e si tiene, Les Gardiennes riesce ad emanciparsi dal pericolo del polpettone, trovando nei minuti finali quel volo pindarico verso il colpo al cuore che non sempre sa assicurare lungo le oltre due ore fatte di speranze e timori, desideri e disperazioni.