Recensione: Tully

TULLY (U.S.A., 2018) di Jason Reitman, con Charlize Theron, Mackenzie Davis, Mark Duplass, Ron Livingston, Elaine Tan, Asher Miles Fallica. Commedia drammatica. ****

Come ci ha insegnato Saving Mr. Banks, Mary Poppins non arrivava dal cielo per salvare i bambini, ma il padre. Essere genitori non è mai stato facile; oggi, però, sembra un’impresa eccezionale, e non è solo questione di poter essere normale, ma anche di ambire ad un barlume di serenità nella quale possano coesistere l’inevitabile subalternità del ruolo materno e la necessaria autonomia dell’individuo.

Donna sull’orlo di una crisi di nervi, Marlo deve salvarsi dal baratro. Mentre il marito lavora per progredire nella carriera, lei porta a termine la terza gravidanza, non prevista ma accolta felicemente, e cerca di affrontare il disturbo dello sviluppo del secondogenito strofinandogli il corpo con una spazzola. Per aiutarla, il benestante fratello le consiglia di assumere una tata notturna, ultima moda dell’upper class metropolitana.

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Ed ecco che si materializza Tully, tanto giovane quanto impeccabile, che assiste la neonata affinché la mamma possa recuperare il suo bioritmo. Ma Tully è lì anche per ridare forza a Marlo, che deve ritrovare la gioia di vivere, riconquistare la fiducia in se stessa e gli spazi esterni all’esercizio del materno. Nel frattempo, l’attività onirica di Marlo è piena di presagi che finiscono per inabissarsi in un oscuro fondale acquatico.

Siccome da queste parti gli autori di commedia americana contemporanea si tende spesso a trattarli con sufficienza, dobbiamo cominciare a ragionare su Jason Reitman in termini meno banali. Il suo senso per un particolare tipo di dramedy raggiunge qui uno zenit inatteso e sorprendente, perché nello sguardo del regista di Tra le nuvole, così malinconico ma mai consolatorio né privo di ironia, c’è tutta l’empatia necessaria per raccontare un tourning point esistenziale.

Nella visione del miniaturista Reitman – che non è solo regista di commedie – il dramedy si declina secondo uno schema solido e personale. Si parte da una situazione “sociale” estrapolata dalla realtà ma non adagiata su didascaliche prospettive documentaristiche, si declina il problema in un contesto privato saggiamente definito da una serie di episodi emblematici, si modula la commedia seguendo i codici del genere e si vira verso il dramma pur evitando la tragedia.

Fosse solo una questione di calcoli e ricalchi di modelli, sarebbe una fin troppo facile operazione di ragionare. Il cuore sta invece nello scarto dato dalla costruzione dei caratteri che abitano le storie, colti al crocevia di un coming of age in cui l’anagrafe è solo un dettaglio. Il cinema del quarantenne Reitman pone sempre al centro della scena un personaggio costretto o destinato a rivedere la propria posizione in un mondo che non sembra corrispondere ai desideri.

Come in Juno e Young Adult, c’è la perfetta sceneggiatura di Diabo Cody a determinare non soltanto la continuità di un progetto (dalla ragazzina sorpresa dalla gravidanza alla madre quarantenne sconvolta dalla maternità, passando per una donna che vuole regredire all’adolescenza) ma soprattutto la cifra umana. Con maturità e tatto, Reitman riesce a plasmare una partitura emotiva dove tutto sembra autentico per come trasmette un mondo di pance flaccide, pizze surgelate, burrascosi colloqui scolastici, scoramenti di fronte ai capricci.

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È incredibile la capacità con cui Charlize Theron offre il proprio corpo ingrassato per l’occasione, sfatto, trascurato sull’altare della storia. Sex symbol sempre pronta a ripensare la propria presenza sullo schermo emancipandosi dall’inequivocabile trappola della bellezza, Theron è talmente intelligente da calibrare con rara abilità una personalità angosciata, sospesa, in bilico, depressa, evitando patetismi o ridicoli deviazioni, volando altissimo laddove denuda la sua anima tranciata da rimozioni, segreti, allucinazioni.

Tra i personaggi più memorabili dell’ultimo cinema americano, la sua Marlo monta la rabbia lasciandola esplodere all’improvviso, incassa le sofferenze nei momenti di lucidità, si fa dominare dal demone dell’incomunicabilità. Nascosto in questo estivo finale di stagione, Tully è talmente perturbante da risultare perfino sconvolgente: senza alcuna anticipazione, la parte finale è un devastante colpo allo stomaco. Che, però, lascia spazio ad un barlume di speranza che possa filtrare tra le tendine.

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