Più celebrato come infallibile scrittore, Mario Soldati è stato anche ottimo e spesso sottovaluto regista, derubricato inizialmente quale calligrafico adattatore di romanzi e poi scopertosi imprevedibile esploratore di generi. Chiuse anzitempo la carriera dietro la macchina da presa, col corale e definitivo Policarpo, ufficiale di scrittura, ma è negli anni Cinquanta che ha l’occasione di sperimentare quello che è forse il suo film più inaspettato.
Non il migliore: quello è La provinciale, suprema rilettura del testo di Giorgio Bassani. Non il più popolare: tra cappa e spada e parodie alimentari, nulla è così spudorato quanto l’assurdo ed irresistibile La donna del fiume. Non il più nascosto: il primato va al latitante Italia piccola. Ma La mano dello straniero è sicuramente il meno scontato, davvero una chicca affascinante e dimenticata.
Il soggetto porta la firma nientemeno che di Graham Greene, amico di Soldati. Sotto pseudonimo, Greene partecipò ad un concorso per racconti scritti secondo lo stile di Greene, ed arrivò secondo. Per capitalizzare al meglio la genialità dell’aneddoto, Soldati decise di adattare il racconto per il grande schermo, recuperando le atmosfere noir del fosco e bellissimo Fuga in Francia (ma anche del lacustre Malombra…) e probabilmente in discontinuità con i precedenti prodotti di consumo.
Coproduzione britannico-italiana, La mano dello straniero è un film curioso e stranissimo, la cui ambizione coincide sfacciatamente con le suggestioni date dalla recente visione de Il terzo uomo, non fosse altro per le simboliche presenze di Greene, Alida Valli e Trevor Howard. Cast chiaramente pensato in quella direzione: eppure è incredibile pensare che la meravigliosa Alida proprio in quell’anno frequentava Venezia anche in Senso.
Tutto parte dalla vana attesa del figlio di un maggiore inglese che, dopo aver aspettato il padre in un albergo veneziano, si inoltra in una città piena di insidie, che esalta la propria cupezza grazie al plumbeo bianco e nero di Enzo Serafin. Il bambino, vero protagonista del racconto, è la spia della tensione avventuresca tipica di Soldati, che da par suo lo segue nell’ansiosa ricerca con l’affetto del papà e la curiosità del lettore.
Al contempo, è un elemento che conferma ancora una volta l’inclinazione molto americana di questo intellettuale interessato alle possibilità del cinema popolare (l’intrigo giallo con la spruzzata melodrammatica) e altresì convinto di potervi imprimere una sensibilità politica non priva di aspirazioni intellettuali.
Un prodotto che non veicoli necessariamente un messaggio manicheo, ma che attraverso l’uso delle luci che tagliano i volti e le calli, una cura dei dettagli (Sant’Antonio senza testa), un sapiente controllo della messinscena trasmette bene l’idea di un film che sia angoscioso e al tempo stesso appassionante, il cui sviluppo politico è così pesantemente maneggiato da risultare del tutto incomprensibile, e forse proprio per questo ancor più intrigante.
Ma ciò che resta più impresso in questa cupa spy story lagunare praticamente low cost nonostante il prestigioso cast, è la bellissima faccia di Eduardo Ciannelli, che come da copione s’immola ancora una volta al ruolo del cattivo e qui incarna con ipnotica maestria la complessità ideologica ed emotiva di un inquietante nichilista che legge Il tramonto dell’Occidente.
LA MANO DELLO STRANIERO (G.B.-Italia, 1954) di Mario Soldati, con Alida Valli, Trevor Howard, Richard Basehart, Richard O’Sullivan, Eduardo Ciannelli, Arnoldo Foà, Guido Celano. Noir. ***