A STAR IS BORN (U.S.A., 2018) di Bradley Cooper, con Lady Gaga, Bradley Cooper, Andrew Dice Clay, Dave Chappelle, Sam Elliott, Anthony Ramos, Rafi Gavron. Mélo. ** ½
È uno standard hollywoodiano, quello di A Star Is Born, che funziona da ottant’anni, si è insinuato in mille altri rivoli mediatici e fa parte della speciale categoria di storie delle quali si conosce dal principio l’esito eppure, incredibilmente, si vuole sapere come va a finire. Come si sente dire verso la fine, dalla voce del veterano Sam Elliott: le note sono sempre quelle, sta all’artista dare un punto di vista personale.
È la prospettiva, insomma, la vera questione, non solo perché viene trasmessa dalla faccia consumata e carismatica del grande attore, che qui funge quasi da nume tutelare e trait d’union con il cinema del passato, da cui il film sembra planare per rinsaldare un antico legame col pubblico. È la vera questione perché si tratta dell’esordio alla regia di Bradley Cooper e al divismo cinematografico di Lady Gaga.
È un’operazione interessante, perché sembra quasi che il doppio debutto non sia considerato un rischio in virtù della solidità di tale caposaldo della cultura popolare americana. Il coinvolgimento di Lady Gaga appare particolarmente intelligente, essendo tra le pochissime popstar contemporanee a porre il ripensamento costante del proprio corpo (attoriale) al centro delle sue dinamiche spettacolari, proponendosi ogni volta come altra da sé attraverso il mascheramento.
Curiosamente, il luogo in cui viene notata dal coprotagonista, cantante country in declino, è un locale di drag queen, dov’è l’unica donna ad esibirsi. La sua figura, truccata fino a sembrare una finta drag, emerge, dunque, tra uomini travestiti, segni di una riflessione sulla trasformazione fluida e non rigida sul corpo dello show. Ma, a parte la parentesi che la garantisce la fortuna, Gaga è messa a nudo, umanizzata per rendere credibile la sua ascesa: e, fondamentalmente, fa se stessa.
Nel momento in cui Hollywood rifà se stessa per riacchiappare un pubblico tanto avido di originali narrazioni seriali quanto desideroso di riconciliarsi col già noto, A Star Is Born è anche il racconto di formazione di una popstar un po’ in crisi che si reinventa attrice, anche solo per un’occasionale performance evento sul grande schermo. Non una novella Barbra Streisand, della quale non ha ancora la straripante presenza scenica ma, per adesso, solo l’iconico naso.
Tuttavia è comunque alla terza versione di È nata una stella che guarda Cooper, quella rock con Streisand e Kris Kristofferson. Nel rappresentare il suo Jackson Maine, l’attore tiene conto del look, della decadenza, del fascino del modello, proponendosi quale moderna versione, inondando i suoi infiniti occhi azzurri di una malinconia alcolica ben incorniciata nell’immagine barbuta di uno struggente country man.
Come regista, Cooper si dimostra molto intelligente nel somministrare a piccole dose tracce di fughe autoriali ispirate ad alcuni registi coi quali ha lavorato (David O. Russell su tutti, ma anche Derek Cianfrance), ma nel complesso sa esaltare l’aspetto melodrammatico di una sceneggiatura studiatissima, a cui ha messo mano nientemeno che Eric Roth. Come attore, invece, intuisce il vero segreto di tutte le precedenti versioni.
Cioè che quello che è sulla carta un annunciato e calcolato trionfo per l’attrice – come d’altronde si è sempre verificato,– si rivela, qui come non mai, un veicolo per l’attore. E se A Star Is Born funziona come mélo classico è proprio per la recitazione consapevole di Cooper, alla prova definitiva del suo divismo. Il film è, infatti, anche un ragionamento su cosa sia oggi lo star system, sul suo essere effimero e sfuggente, costretto a ripensarsi continuamente per poter perpetuare. Ed è anche interessante il sistema di scambi tra realtà e finzione.
Attraverso le canzoni, si cerca di lanciare il film oltre lo schermo, affinché siano fruibili al di fuori dello schema narrativo. Funzionerà sicuramente. Al netto di tutto, pare, però, fin troppo tendente al facile melenso, mancando di un vero afflato commovente tanto è prevedibile e risaputa una tale macchina da lacrime.
L’ha ribloggato su IL LAUREATO.
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