22 LUGLIO (22 JULY, Norvegia-Islanda, 2018) di Paul Greengrass, con Anders Danielsen Lie, Jonas Strand Gravli, Jon Øigarden, Isak Bakli Aglen, Seda Witt, Maria Bock, Thorbjørn Harr. Drammatico storico. ***
Dall’11 settembre in poi, la narrazione delle nostre vite è segnata dagli attentati terroristici che ci hanno calato in un insinuante clima di perenne paura. Proprio per reagire all’industria del terrore, abbiamo il dovere di difendere i nostri spazi di socializzazione, per rivendicare il diritto al vivere civile e in armonia col prossimo. Sull’isola di Utøya, quel 22 luglio 2011, c’erano ragazzi che credevano in questi valori.
Nel cuore della tollerante Scandinavia, un rigurgito neonazista decide di travestirsi da poliziotto, imbracciare un fucile e colpire quei ragazzi, ritenuti colpevoli in quanto figli di quell’élite socialista promotrice delle nefaste politiche liberali responsabili del multiculturalismo e dell’immigrazione; non prima di aver fatto esplodere un furgone nei pressi dei palazzi governativi ad Oslo. Bilancio finale complessivo: 77 morti, 219 feriti.
Paul Greengrass ha l’intelligenza di mettere il doppio attentato in apertura: pone al centro il killer, un pericoloso e fanatico dissociato, ed evita di farci affezionare alle vittime. Così facendo, ci permette di configurare meglio l’atrocità ingiustificabile dell’attentato, sottolineando la capacità di un singolo di devastare un’intera comunità nell’arco di una mattinata, a prescindere da chi siano coloro che periscono.
È una scelta che il regista veicola bene grazie ad una regia insolitamente controllata, senza alcuna influenza della sua rutilante consuetudine action. Poiché gli interessano di più le conseguenze della strage, ha bisogno di rimetterla in scena quasi per dovere documentaristico, con il rispetto dovuto alle vittime e l’attenzione a quello che si configura come uno dei due poli fondamentali del racconto (il terrorista).
Quindi, mentre assistiamo al filone relativo all’indagine sulle ragioni politiche e ideologiche del criminale, con l’organizzazione della sua difesa (si rivolge ad un avvocato democratico, già difensore di un neonazista) verso il processo, entriamo nel doloroso privato di un sopravvissuto, a cui Greengrass dedica tutta l’empatia che naturalmente non rivolge all’attentatore.
22 luglio è cinema civile molto corretto e rispettoso, forse più utile che indispensabile, ma proprio nel personaggio del ragazzo (Anders Danielsen Lie, molto bravo) trova la sua forza, perché trasmette con grande compassione il trauma di un superstite che non desidera altro che non essere vivo: i suoi migliori amici sono stati uccisi, ha perso un occhio, deve attraversare una riabilitazione lunghissima, non riesce a recuperare un rapporto di fiducia nei confronti del mondo.
È lui il polo opposto all’attentatore, in uno scontro a distanza che infine termina nell’udienza in cui la vittima interviene: un momento di straordinaria commozione, lucidissima ed umanissima senza essere mai facilmente edificante, resa ancora più straziante in seguito alla delirante testimonianza dell’assassino. Avvertenza: fare pace subito con lo straniante inglese parlato dai norvegesi. Dopotutto è un prodotto Netflix, pensato per una distribuzione internazionale.