Recensione: The Wife – Vivere nell’ombra

THE WIFE – VIVERE NELL’OMBRA (THE WIFE, Svezia-G.B.-U.S.A., 2017) di Björn Runge, con Glenn Close, Jonathan Pryce, Max Irons, Christian Slater, Annie Stark, Harry Lloyd, Elizabeth McGobern. Drammatico. ***

Nella settimana in cui non viene assegnato il Premio Nobel per la letteratura in seguito allo scandalo che ha travolto alcuni membri dell’Accademia, il cinema provvede a colmare la lacuna. In realtà, The Wife è ambientato nel 1992, quando vinse Derek Walcott e non il protagonista Joseph Castleman: non lo si è sottolineato abbastanza, ma il film, che è tratto dal romanzo di Meg Wolitzer del 2003, immagina un passato parallelo a quello effettivamente accaduto.

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L’apparente gratuità del riferimento storico – a dire il vero non c’è quasi niente che ci faccia pensare che non sia l’oggi, a parte l’assenza della tecnologia che permette una maggiore disinvoltura nell’occultare segreti e una minore pressione nei rapporti personali – serve invece per definire i caratteri di un contesto culturale ed industriale forse non del tutto coerente con quello contemporaneo.

Come illustra il didascalico sottotitolo italiano, The Wife è la storia di una volontaria subordinazione: quella della moglie del blasonato scrittore, che è la vera autrice dei romanzi che hanno garantito al marito la fama, la gloria e infine il massimo riconoscimento letterario. Sua ex allieva di indiscutibile talento, si mette al servizio del professore che non riesce a far pulsare di vita le parole delle narrazioni.

Ammonita da una scrittrice alcolica – cameo della splendida Elizabeth McGovern – che le ricorda quanto un vero scrittore sia chi viene letto e non chi scrive, capita l’antifona secondo cui gli editori diffidano di una donna che scrive anche se si dimostra capace e compreso che Joseph non è esattamente Joyce, Joan diventa la sua ghostwriter, sacrificando la propria ambizione per un eccesso di realismo e d’amore.

Tutto questo è chiaro sin dall’inizio, con l’emozione che traspare dagli occhi di lei quando riceve la notizia del premio e un gigantesco apparato di non-detti col quale lui tratta lei, declassata altresì a principale fonte d’ispirazione e sostegno coniugale. È un tipo di relazione che, in qualche modo, abbiamo già visto nello smagliante Un amore sopra le righe: se l’uomo ha bisogno di una fallace consacrazione pubblica, alla donna interessa una verità accessibile solo alla coppia.

Strutturato con intelligente senso teatrale (spazi chiusi, dialoghi quasi sempre tra due personaggi, lunghe sequenze) in un andirivieni di flashback esplicativi, The Wife è la cronaca di una consapevolezza, una specie di cripto-appendice del modello scene da un matrimonio per ragionare sullo scontro tra genio e mediocrità e tra successo ed anonimato, in una dialettica dall’esito prevedibile dal principio eppure davvero coinvolgente per accattivante empatia e sapienza recitativa.

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Va da sé che i due protagonisti diano l’acqua della vita al film. Jonathan Pryce cita curiosamente Don Chisciotte, l’altro suo ruolo più recente, ed è strepitoso in un ritratto disperatamente vanesio nel quale riesce a sintetizzare l’ingannevole tendenza al delirio d’onnipotenza e la paura di non essere all’altezza né della moglie-demiurgo né delle sue lontane ambizioni artistiche, l’adesione mimetica al proprio mito (le noci firmate) e il mancato senso di colpa nei confronti della moglie.

Disinteressata al ruolo di vittima del coniuge e stanca di una vita bugiarda alla sua ombra, Glenn Close sa trasmettere anche solo muovendo un muscolo del volto tutta la sofferenza di un eccedente stoicismo, e quando deve parlare si sfoga a mano a mano con un dolore finalmente esplosivo. Calibrando espressioni e sentenze, si prende il suo spazio fino al momento fatale. Un’interpretazione matura, trionfale, magistrale, che è il principale motivo per cui questo film pronto da oltre un anno appare solo oggi: provare, finalmente, a farle vincere l’Oscar. Curioso per un film dove è lei a subire il successo altrui.

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