Road to Oscar – 3/ Gigi | Vincente Minnelli (1958)

Oscar 1959: film, regia, sceneggiatura non originale, fotografia, scenografia, costumi, montaggio, colonna sonora, canzone originale

Ci risiamo: anche qui c’è chi sostiene che il successo agli Oscar di Gigi fu sproporzionato o addirittura immeritato. A parte che basterebbe dare uno sguardo ai competitor per scoprire che non è vero, Gigi sconta essenzialmente il suo genere. Musical di frontiera al tramonto di se stesso, troppo poco iconico per ambire allo status imperituro di West Side Story (vincitore qualche anno più tardi) e troppo importante per cadere nel dimenticatoio come Oliver! (trionfatore alla fine degli anni sessanta).

Risultati immagini per gigi minnelli

Al di là dell’inappuntabilità dei riconoscimenti, Gigi è il definitivo trionfo di Vincente Minnelli, che quell’anno poteva vantare ulteriori cinque candidature per un altro suo coevo capolavoro, il clamoroso mélo Qualcuno verrà. Non è un caso che dopo inanellerà altri memorabili lavori ma niente in grado di catalizzare un’attenzione come questo musical terminale, capace di trasformare in statuette tutte le candidature (dopo solo L’ultimo imperatore e Il signore degli anelli – Il ritorno del re).

Tratto da un romanzo di Collette, Gigi è ambientato in una Parigi se possibile ancora più sontuosa che in Un americano a Parigi, con la simbolica presenza di Maurice Chevalier, esule nel cinema americano che si riscopre anfitrione dei luoghi patri, che sin dall’incipit introduce ad un viaggio nel tempo di sapore lussuosamente turistico esaltato da un fastoso Cinemascope capace di accumulare nell’inquadratura un incredibile numero di elementi.

L’orgiastica nostalgia per la Parigi della Belle epoque non nasconde una simpatica tendenza all’ipocrisia: d’altronde non ci vuole un particolare sforzo interpretativo per capire quanto Gigi si presenti come un racconto sull’avviamento alla prostituzione d’alto bordo. È, infatti, la storia di una precoce ed allegra adolescente introdotta da nonna e zie all’educazione cortigiana, con l’obiettivo di formarla affinché possa essere accaparrata da un facoltoso partito. Che ha il volto adulto di Louis Jordan, innescando così qualche suggestione perfino pedofila nei confronti della giovanissima Leslie Caron…

Altro che #MeToo et similia, qua siamo in piena autodeterminazione confinante con l’immoralità e uno spregiudicato uso del corpo, una parabola che forse poté essere accettata dalla puritana congrega dell’Academy perché relegata all’esotismo libertino della spudorata Parigi. Modulato secondo un sistema di ideali rime interne, simmetrie e giustapposizioni in cui la musica è elemento centrifugo e non a caso non si danza, come se siano le parole a trasmettere l’immagine di un vorticoso movimento.

È sintomatico che il decennio in cui il musical MGM ha meglio espresso la sua natura si chiuda con una commedia musicale dove si continua a cantare ma non a danzare, quasi a voler relegare la spettacolarizzazione data dal ballo ad un passato anacronistico. È una scelta dettata dal risparmio o dal rinnovamento, dalla coscienza dell’irripetibilità del passato o dall’incapacità di replicarlo? Certo, non si può tacere sugli imponderabili nuovi gusti del pubblico o sull’avanzata della musica rock, però non è soltanto una questione di “sentimento del tempo” o di rivoluzione discografica: c’è qualcosa che ha a che fare col mood del genere.

Non si tratta di giudicare i film del mazzo, ma di evidenziare il tramonto di un mondo in cui viene meno ciò che ne garantiva l’autenticità e il patto col pubblico: la credibilità della finzione. In quest’ottica, Cantando sotto la pioggia e Spettacolo di varietà s’impongono già radicalmente come due opere conclusive, tanto per ciò che appartiene propriamente ai codici del genere quanto per il loro carattere apertamente autoriflessivo che quasi trascende il genere stesso.

Immagine correlata

Dopo di loro, film estranei alla struttura del musical affermano, per varie ragioni, l’idea, spesso implicita, di un mondo in cui la musica (e quindi, potenzialmente, il musical) è ovunque. D’altro canto, i musical che vengono successivamente non fanno che attestare, esplicitamente o meno, il senso di una fine, chi fingendo di non accorgersene, chi esorcizzandola e chi battendo altre strade.

Tornando al fiammeggiante Gigi, Minnelli si conferma pittore alla Renoir dal gusto straordinario, capace di confezionare il film con una sapienza rara, come si può evincere dalla memorabile, luminosa sequenza vespertina del dialogo cantato dall’immarcescibile Chevalier e l’antico love affair Hermione Gingold, peraltro tutto rivolto al “grande avvenire dietro le spalle” che allude all’istituto stesso del musical. Altro che sproporzionato, questo è un film smisurato che merita continue letture.

GIGI (U.S.A., 1958) di Vincente Minnelli, con Leslie Caron, Louis Jordan, Maurice Chevalier, Hermione Gingold, Isabel Jeans, Jacques Bergerac, Eva Gabor, John Abbott. Musical sentimentale. ****

Un pensiero riguardo “Road to Oscar – 3/ Gigi | Vincente Minnelli (1958)

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...