Recensione: The Front Runner – Il vizio del potere

THE FRONT RUNNER – IL VIZIO DEL POTERE (THE FRONT RUNNER, U.S.A., 2018) di Jason Reitman, con Hugh Jackman, Vera Farmiga, J. K. Simmons, Alfred Molina, Mark O’Brien, Molly Ephraim, Chris Coy, Sara Paxton. Biografico drammatico. ***

Difficile trovare un sottotitolo banale e inflazionato come Il vizio del potere, in questo caso perfino fuorviante perché sposta l’attenzione della vicenda su una dinamica vicina al #MeToo, con l’uomo che abusa della propria posizione di potere per ottenere vantaggi sessuali. In realtà la faccenda qui è diversa: più semplicemente, Gary Hart è un fedifrago seriale, potente ma non abbastanza per uscire indenne dallo scandalo della relazione con una giovane attivista del suo comitato elettorale.

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Per quanto contraddistinta dai toni enfatici della promozione, la frase di lancio di The Front Runner è piuttosto indicativa: la storia mai raccontata del più grande presidente mai eletto. In realtà di non-raccontato c’è poco. Tuttavia in quel “mai eletto” si trova una presa di posizione netta, che nello scioglimento della narrazione emerge con forza: per far fuori un candidato così forte, l’unica possibilità era far affiorare il suo lato meno addomesticabile e accettabile agli occhi di una nazione moralista e ipocrita come quella americana.

Che Hart avesse un temperamento libertino era abbastanza noto; che l’avessero Kennedy e Johnson, anche. Dov’è la falla? La falla è nel contesto. Sotto la patina vintage di un frammento del passato ripensato col senno di poi, Jason Reitman guarda alla grande narrazione della paranoia degli anni settanta, tra l’afflato cronachistico de Il candidato e l’impianto teorico di Quinto potere, accordando lo spirito cupo e investigativo del decennio precedente al racconto di un evento già dentro un’altra epoca, peraltro di transizione. E iniziando con un pianosequenza che deve tutto a Robert Altman, al cui magistero guarda sempre nel continuo ricorso all’overlapping e al rifiuto di un baricentro narrativo nella prospettiva.

Hart, front runner delle presidenziali del post Reagan, destinato a sfidare il vice presidente Bush senior per riportare i democratici alla Casa Bianca, resta vittima del suo vizietto privato, triturato da un’informazione che per sopravvivere sceglie di trasformarsi nella sua degenerazione. In questo senso è emblematico il comportamento del nobile Washington Post,  quasi costretto a seguire l’andazzo per non restare indietro, recuperare il terreno, giocare al rialzo.

The Front Runner non è precisamente un film sulla politica ma sul sistema mediatico, sulla trasformazione dei quotidiani, sulla vita privata usata per giudicare e annientare un uomo pubblico. Tutti sanno che Hart potrebbe essere un buon presidente, certamente più progressista e fresco del paludato competitor, già capo della Cia (è un dato fondamentale per capire chi mette in giro cosa…); nessuno è disposto a rinunciare alla notizia che potrebbe distruggerlo, adottando la prospettiva del giornalismo d’inchiesta non sul marcio dell’azione politica (quali sono le suo contraddizioni, i suoi sostenitori, la sua base?) ma più facilmente su quello privato-morboso.

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Tra i registi più importanti e meno studiati del cinema americano contemporaneo, l’ottimo Reitman si conferma brillante interprete dei meccanismi che innescano il perturbante in storie esemplari, rivelando l’ambiguità dei suoi personaggi senza mai sollecitare nel pubblico un’empatia incessantemente negata dalla progressiva esposizione della polvere sotto il tappeto.

Pensato come front runner della stagione dei premi anche in funzione della recitazione sommessa e nervosa di Hugh Jackman e Vera Farmiga, non solo non ha entusiasmato né gli spettatori né i commentatori né candidature, ma non ha nemmeno ottenuto candidature: considerate le edulcorate  scelte dell’annata, un film così – con tutti i suoi difetti e cliché – è un oggetto altamente infiammabile, talmente dentro la contemporaneità da far impensierire più del dovuto chi preferisce semplificare anziché riflettere sulla complessità.

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