Nella nazione che ha subito più di tutte le conseguenze delle sue azioni, ecco un mélo diretto come un noir. Anzi: un escape movie che allude alla politica del tempo con spirito strenuamente umanista. L’elasticità dell’incasellamento sottolinea bene la problematicità e la stratificazione del film di Helmut Käutner, maestro del cinema classico capace di dosare con intelligenza una sapiente cura formale con un inatteso ma necessario senso di disagio.
Siamo nella Germania divisa del 1952: una sarta dell’Est, madre di un figlio avuto da un uomo caduto in guerra, vive in Baviera, a pochi chilometri dal confine, con i nonni di lui, che hanno fatto soldi e accettato di aiutarla solo per garantire una sicurezza economica al bambino. Dovendo assistere i suoi anziani nonni nella parte orientale, la ragazza è costretta ad attraversare ogni volta la frontiera per vedere il figlio.
In uno dei suoi consueti transiti segreti, s’imbatte in una guardia generosa che le promette di prendersi cura del bambino. L’amore dà alla ragazza la speranza di una nuova vita, ma l’impresa pare da subito troppo pericolosa. Grazie ai due punti di vista, Käutner mette in scena con malinconica severità la complessità del rapporto tra la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica senza abdicare alle ragioni dell’intrattenimento.
Come un Pietro Germi tedesco, trova nel fuggiasco il corpo di una riflessione sul confine tra due mondi, nella sua tensione motoria opposta alla rassicurante staticità delle famiglie dell’Est e dell’Ovest fossilizzate nel dolore represso dalla necessità di crescere e accogliere il bambino. Film profondamente etico, quasi moralista nel suo inneggiare alla riconciliazione per come si serve di una storia così fatalista ed empatica.
CIELO SENZA STELLE (HIMMEL OHNE STERNE, Germania, 1955) di Helmut Käutner, con Erik Schumann, Eva Kotthaus, Georg Thomalla, Horst Buchholz, Gustav Knuth. Drammatico. ***