Dopo una sostanziale paraculata (Stanno tutti bene) e un azzardo a lungo termine (Una pura formalità, tra i suoi film il più amato da chi non lo ama), L’uomo delle stelle è la prima riscossa di Giuseppe Tornatore: un’operazione chirurgica, tutta fondata sulla rincorsa del secondo Oscar dopo l’exploit di Nuovo Cinema Paradiso, rivolta ad un pubblico soprattutto americano, che recupera le atmosfere e gli spazi del suo capodopera nel contesto del dopoguerra.
È tutto vero, tant’è che incamerò la seconda nomination agli Academy e perfino un Leone d’Argento a Venezia più svariati David e Nastri. Però dobbiamo spingerci oltre la superficie per ragionare davvero su un film che sin dalle prime scene dimostra di voler pensare in grande, dando l’idea di un respiro larger than life, anche grazie alla fotografia di Dante Spinotti. Diciamolo: così poco italiano. Oppure: così poco da essere arcitaliano, ultraitaliano.
Partendo dai luoghi comuni regionali, Tornatore allestisce una caleidoscopica galleria di facce e situazioni assurde, viscerali, e contraddittorie legate dal fil rouge della truffa di Joe Morelli. L’eroe titolare gira per la Sicilia su un autocarro con un tendone e una macchina da presa, spacciandosi per l’incaricato di una casa di produzione romana che invita la gente a fare provini a 1500 lire. La grande illusione del cinema seduce tutti, attratti dalla possibilità di vite diverse, mossi da atavici narcisismi, convinti dalle promesse di fama e successo.
Film sulle illusioni dell’industria, del cinematografo e soprattutto dell’amore (anche per il cinema), è la piccola epopea di un truffatore dei sogni o di un sognatore che fa truffe, quasi un’opera buffa tra metafore, simbolismi, maschere, stereotipi, che gioca con le suggestioni anacronistiche presagendo le conseguenze della televisione nella vita delle persone, il futuro mancato ponte sullo stretto per collegare la periferica colonia al regno.
Contraltare al contiguo Lo schermo a tre punte, documentario sulla Sicilia e il cinema, è la rivendicazione di un cinema più consapevole del suo mito che semplicemente nostalgico, un metacinema in cui è lo stesso Tornatore, più cinemaniaco che cinefilo, a sentirsi vicino al pur deplorevole cialtrone Morelli, la cui colpa più grave non è tanto l’approfittarsi dei sogni altrui quanto l’appropriarsi, attraverso la pellicola, di pezzi d’umana verità anticipando il documentario che verrà.
Artigiano qui mai accademico, che ha padronanza della cinepresa come pochi in Italia, Tornatore riesce a rappresentare un’umanità raramente così dentro le viscere di un luogo senza eccedere nel pittoresco: e se Sergio Castellitto raggiunge una delle vette della sua carriera, è impossibile non restare avvinti dalla pletora di facce che mostra il meglio nel lunare, straordinario Leopoldo Trieste. Di primordine i contributi dello scenografo Francesco Bronzi, della costumista Beatrice Bordone e, va da sé, del maestro Ennio Morricone.
L’UOMO DELLE STELLE (Italia, 1995) di Giuseppe Tornatore, con Sergio Castellitto, Tiziana Lodato, Leopoldo Trieste, Leo Gullotta, Clelia Rondinella, Tony Sperandeo, Franco Scaldati, Pino Calabrese, Tano Cimarosa, Nicola Di Pinto. Commedia drammatico. ***