Recensione: Bangla

BANGLA (Italia, 2019) di Phaim Bhuiyan, con Carlotta Antonelli, Phaim Bhuiyan, Pietro Sermonti, Simone Liberati, Alessia Giuliani, Milena Mancini, Martina Pinto. Commedia. ***

Nel cinema italiano, la rappresentazione delle comunità straniere alla periferia del regno sono quasi sempre relegate a due modalità. Nel dramma, sono chiuse nei loro orizzonti di riferimento, spesso più ignorate che ostracizzate. Nella commedia, abbondano gli stereotipi sia nel caso in cui si vuole sottolineare il multiculturalismo degli italiani brava gente sia quando si intende cavalcare il razzismo insito a certi settori della popolazione.

Com’è come non è, Bangla è una commedia – tra le migliori della stagione – che merita tutta l’attenzione possibile perché tiene conto di queste coordinate e al contempo se ne frega. Ciò accade perché Phaim Bhuiyan arriva all’opera prima parlando di quel che conosce meglio: un mondo lontano dal centro e raccontato con una cognizione di causa che riesce a non limitarsi alla meticolosa conoscenza di uno spazio particolare per spingersi ad una prospettiva più universale.

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Nello sguardo di Bhuiyan scorgiamo sia l’affettuosa e lucida osservazione del suo pezzo di mondo (Torpignattara) sia una capacità narrativa in grado di non isolarsi nella comoda ma sfiatata cornice del bozzetto. In Bangla, infatti, non c’è solo – e detto niente, per inciso – il punto di vista alternativo rispetto alla consuetudine di un italiano di seconda generazione, che ci conduce nel quotidiano della sua famiglia e della sua comunità, sui sogni (il mito di Londra) e le aspirazioni (un lavoro, una moglie bangla, poi figli) con ironia e vivacità. Non solo commedia etnica, ecco, anzi.

Ma c’è anche – e non si pensi che sia così scontato per il cinema italiano – il racconto di una storia d’amore (post)adolescenziale dal respiro internazionale e abitato da una strana coppia dall’estetica fortissima, la cui chimica sulla carta improbabile trova nel ménage buffo e malinconico una cifra capace di dialogare con un pubblico eterogeneo. E se il cuore del problema ha qui a che fare con i dettami religiosi di lui (Phaim non può fare sesso), in realtà la questione è talmente incandescente da intercettare le complicazioni di tutti noi (Asia, diciamo, è piuttosto esperta: «mi è venuta l’ansia di prestazione» dice lui, dopo aver vomitato, e anche se non c’entra niente è comunque tutto lì…).

Domenico Procacci torna, finalmente, a fare quel che meglio gli riesce: individuare un giovane dallo sguardo autentico ed unico e metterlo alla prova del set con un budget non troppo impegnativo. E a leggere i nomi della crew si capisce bene la freschezza di un film giovane e non giovanilista, che incrocia il tono felicemente egocentrico del primo Nanni Moretti con il mood umoristico-sentimentale di The Big Sick. «Ma che ve correte tutti?».