SELFIE (Italia-Francia, 2019) di Agostino Ferrente. Documentario. *** ½
Come si sa, “selfie” sta per autoscatto ed è una pratica che ormai dilaga nella società dell’immagine. Col selfie, l’individuo si palesa al mondo, mette in campo ciò che in quel momento intende mostrare. Quand’è che il produttore di immagini diventa autore di se stesso? In fondo, pur senza enfatizzare il ruolo, già l’utilizzo degli eventuali filtri, per non parlare della scelta dell’inquadratura, rappresenta l’idea di uno sguardo.
In Selfie, i produttori delle immagini sono i protagonisti; ma a dare lo sguardo è l’autore. Che, in fin dei conti, l’autore del film sia il regista Agostino Ferrente e al contempo Alessandro e Pietro, i sedicenni che letteralmente tengono in mano l’iPhone e (si) raccontano attraverso la propria storia? Questione interessante, seppur forse onanistica. Eppure il cuore del cosiddetto “cinema del reale” sta tutto qui: l’autore del film guarda l’oggetto del racconto che veicola quel racconto stesso.
Chi rappresenta cosa? Chi guarda chi? L’autoscatto – in questo caso l’autoripresa – è un metodo con cui il produttore dell’immagine o del video vede egli stesso ciò che sta accadendo. È uno specchio, è il grado massimo della scelta perché consapevole. Basta per definir Alessandro e Pietro autori di se stessi? No. Sono consapevoli di quel che stanno filmando? Forse. Sanno interpretare o mediare quel che filmano? Hanno bisogno di Ferrente, che li segue, osserva, in una certa misura ama.
Allora arriviamo al dunque: Selfie è un racconto struggente, che mette al centro della scena due ragazzi del quartiere Traiano di Napoli, rimasti in città per l’estate: Alessandro è impegnato dietro al bancone di un bar; Pietro, che vorrebbe diventare barbiere, ha il solo obiettivo di far compagnia all’amico. Non vanno più a scuola, trascorrono il tempo libero al bar a giocare a biliardo. Non sono suggestionati dalla criminalità, provano ad immaginare una vita normale. E vivono il trauma della morte dell’amico Davide, ucciso per errore da un carabiniere.
Selfie è dedicato a tutti i Davide del mondo. Ferrente crede alle speranze di ragazzi cresciuti nella disperazione, concede. spazio ai loro pensieri, segue il quotidiano romanzo di formazione alternativo alla narrazione tipica di quel pezzo di mondo. Non dimentica mai la fiducia accordatagli dai ragazzi, che testimoniano frammenti di vita intimi e privati: la visita alla nonna malata, la vergogna per i chili presi, il dialogo con il padre di Davide.
È in queste struggenti, autentiche zone del racconto che l’emozione sovrasta la pur fondamentale riflessione sul dispositivo, dimostrando quanto il cinema del reale sia qualcosa davvero capace di intercettare un pubblico più ampio di quello piuttosto esiguo che ha finora capito l’importanza ì di un tipo di narrazione ormai decisiva per capire e conoscere la complessità del presente.