Domenica 23 giugno
- Ore 9:00. Inizio con la fine del mondo: pur con la simpatia dovuta a sci-fi all’epoca ultratecnologici e oggi datati, La guerra dei mondi di Byron Haskin – presentato nella sezione Ritrovati e Restaurati – resta una suggestione apocalittica ancora valida. Con quella dimensione che oggi lo fa somigliare a un finto b-movie, fu in realtà un kolossal spettacolare capace di intercettare le paure di una nazione che si affida a Dio (divertentissimo il finale) per sconfiggere i diversi. Parabola anticomunista, ovvio.
- Ore 11:00. Primo lungometraggio con attori girato con il procedimento a tre strisce, Becky Sharp di Rouben Mamoulian è il battesimo del Technicolor, restaurato per anni dalla Paramount e riportato oggi all’antico splendore. Colori incredibili, esplosivi e abbaglianti (azzurri falsamente ingenui, gialli trionfali, pallori detonanti), che seducono ancora lo sguardo dello spettatore, al servizio – o viceversa? – di una commedia satirica e spumeggiante, ispirata a La fiera delle vanità, su un’arrampicatrice sociale che manda in crisi i maschi, rivendica la potenza della sua femminilità. Miriam Hopkins immensa.
- Ore 14:30. Prosegue la retrospettiva dedicata a Jean Gabin con un film che non lo vede protagonista. Si tratta di Couer de Lilas, drammone diretto da Anatole Litvak nel 1931. Per un terzo giallo poliziesco nel più classico dei sensi, per un terzo melodramma sull’amore impossibile tra la guardia e una sospettata troppo carina, per un terzo ipotetico musical per la presenza di canzoni in grado di determinare la narrazione. Gabin è il terzo nome in ditta ma lascia il segno per l’infinita gamma espressiva della sua recitazione.

- Ore 16:15. La Cineteca di Bologna presenta un altro restauro di primo livello: è L’ape regina di Marco Ferreri, autore bersagliato dalla censura che vide il suo primo film italiano dopo l’esperienza spagnola massacrato in moviola. Troppo feroce la critica alla famiglia, troppo acida la denuncia delle storture della società cattolica, troppo ingombrante il fantasma della morte che aleggia da subito nell’aria di questo film implacabile, cupo, cinico e comunque irresistibile. Film malato e dunque fondamentale, che valse alla meravigliosa Marina Vlady una generosa Palma d’Oro a Cannes per la miglior attrice e all’immenso Ugo Tognazzi un incontestabile Nastro d’Argento. Il restauro riconsegna al lavoro di Ferrari la forma originaria, recuperando la versione francese certo più attendibile di quella uscita da noi nel 1963.
- Ore 18:15. Sul grande schermo dell’Arlecchino, Marlene Dietrich (ah, quando lecca la cartina per la sigaretta!) e James Stewart inondano la scena di Partita d’azzardo, clamorosa commedia western in cui lei domina dal saloon una città dedita al malaffare e lui è il nuovo vice sceriffo che non crede nelle armi. Spettacolo straordinario per ritmo e incandescenza, è una spiritosa e creativa rivisitazione del genere alla luce di un impegno morale solo in apparenza mitigato dall’umorismo garantito tanto dal compassato Stewart quanto dai caratteri (il mitico Misha Auer, lo sceriffo Charles Winninger). Canzoni e pistole, femminismo e libertà, zuffe memorabili che sono quasi coreografie – compreso un catfight da antologia.