Nel momento di massima tensione tra cinema e televisione, mentre l’industria americana cercava di reagire alla comodità della fruizione domestica offrendo in sala esperienze all’epoca irriproducibili nel salotto di casa (i kolossal), in Italia accadde qualcosa di abbastanza bizzarro e dunque interessante. Se il cinema americano portò la televisione sul grande schermo usando i drammi che avevano funzionato sul piccolo (Marty, vita di un timido è l’esempio più fortunato e famoso), il cinema italiano portò direttamente la tv in sala.
Non sapendo come intercettare le mode di un pubblico suggestionato dall’idea di non uscire di casa, spesso raccolto nei tinelli delle famiglie che potevano comprare un apparecchio, di fronte alle vetrine dei negozi di elettrodomestici o nei luoghi pubblici ricreativi, si ebbe l’idea di sfruttare certi successi televisivi per mettere su poche ma sicure commedie commerciali, un po’ come era già avvenuto con i fenomeni della radio e dell’avanspettacolo qualche anno prima,
Dopo Totò lascia o raddoppia?, sulla carta facile incontro tra il comico più amato e il popolare quiz con Mike Bongiorno, e prima dell’apoteosi sulla civiltà dell’immagine nell’episodio Guglielmo il dentone de I complessi, c’è Domenica è sempre domenica, diretta dal Camillo Mastrocinque già dietro il film con il principe, che prende il titolo dalla sigla de Il musichiere, lo show del sabato sera presentato da Mario Riva.
Scritta da un variegato parterre di penne e prodotta dagli spericolati Ermanno Donati e Luigi Carpentieri, si tratta di una commedia corale che intreccia gli episodi seguendo uno schema più vicino a quello di Domenica d’agosto o Padri e figli che alle antologie di sketch dominanti negli anni Sessanta. Una struttura non solo fluida ma suo modo anche abbastanza moderna, perché racconta le storie(lle) in maniera autonoma per poi farle incontrare nella parte finale, quando i tre protagonisti si sfidano nella puntata del varietà.
In realtà, a parte nel caso di Alberto Sordi, i veri protagonisti degli altri due filoni non sono i concorrenti del quiz. Poiché Lorella De Luca – che nel 1958 era anche la valletta del programma, assieme alla collega povera ma bella Alessandra Panaro – si decide a partecipare per salvare la famiglia dal crack finanziario, è abbastanza evidente che i nostri interessi sono rivolti agli augusti genitori, a maggior ragione se sono Vittorio De Sica e Andreina Pagnani.
Con supremo gigionismo, De Sica gioca ancora una volta sulla sua nota passione per il gioco d’azzardo, trovando nella grande Pagnani una partner perfetta. Vendono un quadro pignorato, con il denaro lei deve pagare la pelliccia, lui dovrebbe pagare le bollette ma perde tutto al tavolo verde e sfida l’ufficiale giudiziario in una memorabile partita con le tasse al posto delle fiches. Una coppia strepitosa dedita ai cavalli e alla canasta, pervasa di decadenza nobiliare, dignità d’altri tempi e cialtroneria intramontabile.
Per quanto la meteora Yvette Masson (doppiata in bolognese da Franca Dominici) sia la concorrente, la vera star del suo frammento è Ugo Tognazzi, bonario borghese pauroso e ipocrita. Ma il leone del film è Sordi, che disegna un personaggio di grande modernità, confermando quanto nel decennio degli anni cinquanta abbia saputo approfondire il carattere dell’italiano battendo strade impreviste, cavalcando manie nascoste, lasciando deflagrare contraddizioni e piccoli calcoli cinici.
Industriale rigido e trombone con la passione delle canzonette, l’attore sfodera un repertorio di smorfie e lazzi di puro sordismo, tra il narcisismo dei mediocri di successi e la schizofrenia dei frustrati abituati a vincere sempre. Chiede la raccomandazione dell’ex commilitone (ma sarà vero?) Achille Togliani, che lo asseconda solo dopo aver visto la di lui moglie (Dorian Gray, ancora in un ruolo in cui il decoro caratteriale nega l’apparenza fatalona: e no, non ci esce bene Togliani…).
Sordi guarda Togliani con la tensione omoerotica dei provinciali suggestionati dai divi, è già un teledipendente (vede un giornalista ed esclama: «il telegiornale!»), non trova le parole per esprimere l’emozione di stare accanto ad Alberto Rabagliati, tocca Mario Riva perché non crede alle sue orecchie quando quello dice «nientepopodimenoche». E come corre Sordi, con quanta cattiveria cerca di vincere a tutti i costi, con quale spudoratezza naif canta!
Continua a ripetere a mo’ di tormentone «voglio togliermi questo sfizio!» per motivare la sua partecipazione al gioco, mentre la moglie è preoccupata dalla perdita di credibilità in previsione delle prossime elezioni, alle quali il marito dovrebbe essere candidato. Ecco, la modernità del suo personaggio è tutta dentro l’ossessione della popolarità, dei follower, dei big likes da raccattare più per autocompiacimento che per reali motivi…
DOMENICA È SEMPRE DOMENICA (Italia, 1958) di Camillo Mastrocinque, con Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Dorian Gray, Mario Riva, Lorella De Luca, Andreina Pagnani, Ugo Tognazzi, Vira Silenti, Achille Togliani, Yvette Masson, Virgilio Riento, Gabriele Antonini, Dolores Palumbo, Enzo Garinei, Dario Fo, Gorni Kramer, Alberto Rabagliati. Commedia. ** ½
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