Ben e Nellie Halper si sono appena sposati. Lei si aspetta di andare Chicago, ma lui decide di scendere alla stazione di un paese qualche chilometro prima: diventa così il barbiere di Sevillinois, località in espansione dove trova una comunità familiare e accogliente, sempre pronta a canticchiare per puntellare gli eventi del quotidiano. Ci si trova talmente bene che ben presto acquista anche il loculo cimiteriale. Trascorrono cinquant’anni: il tempo, tutto sommato, non è stato clemente.
Stavolta abbiamo la scusa: non abbiamo mai saputo la grandezza di Wait Till the Sun Shines, Nellie perché da noi non è mai arrivato. Inedito in Italia da quasi settant’anni, lo scopriamo oggi per quel che è: un capolavoro. Abbacinante, trasparente, totale. Introdotto da un incipit che, col senno di poi, è la traccia più evidente del dramma su cui si modula questa cavalcata nazionale: un bacio sopra il calesse sullo sfondo di un tramonto cupo.
Dal romanzo I Heard Them Sing di Ferdinand Reyher, il film del grande artigiano Henry King – con dei titoli di testa che trasmettono l’idea di un mondo tradizionale oggi forse al limite del kitsch: le lettere ricamate su un pezzo di stoffa – prende in prestito il titolo da una canzone popolare americana, in un certo senso leitmotiv della storia sia per la capacità di suggerire la dimensione intima e il calore di una società che si fa personaggio collettivo sia soprattutto per il nome della protagonista.
Personaggio peraltro straordinario: ambiziosa ma remissiva, desiderosa di vivere un’esistenza più emozionante e al contempo angelo del focolare seppur mai del tutto convinto, vittima del destino cinico e baro che però colpisce chi azzarda il passo troppo lungo. Lo interpreta con astuzia Jean Peters, primo nome in ditta che King ha non solo il coraggio di far scomparire a metà film, ma mette al centro di una dialettica matrimoniale abbastanza inconsueta per l’epoca.
Infatti, a testimoniare quanto il racconto “conservatore” o perlomeno – anzi: sicuramente – elegiaco sia solo il cavallo di Troia di King (la sceneggiatura è di Allan Scott e Maxwell Shane), il matrimonio degli Halper è qualcosa di straziante: probabilmente si amano, ma forse non abbastanza per sopportare ogni cosa, lei civettando con un vicino di casa e osando infine una fuga fatale, lui (David Wayne, compassato e mai ammiccante) nascondendole i segni della sua adesione completa alla città che alla moglie aveva paventato come meta provvisoria prima dello sbarco a Chicago.
Melodramma cupo e amarissimo, colmo di quel senso della fine che nel 1952 non era mica così scontato, fiammeggiante nei colori della fotografia di Leon Shamroy e pudico nel modulare i sentimenti, narra l’epoca di una comunità attraverso la vicenda privata di una famiglia costituita attorno a una coppia il cui ménage è raccontato con audacia, è la quintessenza del racconto americano filtrato dalla nostalgia di un tempo perduto e irripetibile.
In mezzo, ci sono un incendio distruttore che costringe al progresso (un millesimo di quel che accade in un altro, enorme King che affronta lo stesso periodo storico: L’incendio di Chicago), i balli (il vestito uguale!), le bande musicali, il piccolo capitalista che vuole acquistare i terreni dell’onesto lavoratore, le guerre, la mafia. E i figli che crescono, le famiglie che si allargano, le solitudini. Tutto sfiora il paese-nazione lasciando segni indelebili: ma la vita continua. Capolavoro.
WAIT TILL THE SUN SHINES, NELLIE (U.S.A., 1952) di Henry King, con David Wayne, Jean Peters, Hugh Marlowe, Albert Dekker, Helene Stanley, Tommy Morton, Joyce MacKenzie. Drammatico. *****