Esistono personaggi che determinano il corso di un’intera carriera, quando questa sembra essersi ormai assestata verso un pur onorevole viale del tramonto o, di convesso, una monumentalizzazione data dal grande avvenire dietro le spalle. Scene che entrano nella memoria personale e collettiva degli spettatori, immagini, parole, suoni talmente esatti da definire un orizzonte unico e universale al contempo. La performance di Valentina Cortese in Effetto notte fa parte di questo mondo.
Séverine è la quintessenza del mestiere d’attore. Anzi: del mestiere d’attrice. Non più giovanissima, non più sulla cresta dell’onda, non più in palla. Valentina/Séverine si ricerca nello specchio: con addosso la parrucca, la sessione di trucco è l’occasione per fare un punto sulla propria carriera, addomesticare i dolori privati con la terapia del lavoro, accettare l’idea che invecchiare fa schifo e un bicchierino può aiutare, magari senza esagerare, ma come fai a non eccedere con quello statuto divistico?
Dove riconosci la grande attrice? Nelle scintille. Valentina è Séverine, al netto della vita. C’è la sua vita dentro quel personaggio, e quella di tutte le attrici di mezz’età giudicate troppo vecchie per essere ancora le protagoniste, le eroine romantiche, le amanti impetuose. C’è un pezzo di Effetto notte che è un trionfo di scintille, un capolavoro d’attrice: Séverine è sul set, un po’ brilla, trattiene le lacrime perché è una professionista, non si ricorda le battute giuste e allora le legge su fogli appesi in posti strategici, sbaglia ad aprire le porte e costeggia la follia…
In una delle più belle premiazioni di sempre, Ingrid Bergman, premiata come miglior non protagonista per Assassinio sull’Orient Express, salì sul palco con quella sua tipica suprema leggerezza e, spiccia, severa, soave, fece qualcosa che vale più di un premio mancato:
«è sempre molto carino ricevere un Oscar, ma nel passato ha dimostrato di essere molto smemorato e di avere anche i tempi sbagliati. Perché l’anno scorso, quando Effetto notte ha vinto per il miglior film straniero, non potevo credere che Valentina Cortese non fosse stata nominata, perché ha dato la prestazione più bella. [non era eleggibile nelle altre categorie, ndr] Ha dato la performance più bella e tutte noi attrici ci siamo riconosciute in lei perché, dopotutto, tutte abbiamo dimenticato le nostre battute e aperto sempre le porte sbagliate, ed è stato meraviglioso vederla fare così bene. Quindi sono… È così ironico che quest’anno sia stata nominata quando il film ha vinto l’anno scorso. Non lo capisco, ma sono qui e sono la sua rivale e non mi piace affatto. Per favore perdonami, Valentina. Non volevo. Grazie».
Non è giusto dire che con Valentina Cortese muore l’ultima diva. Sono ancora vive – speriamo per altri cent’anni – Sophia, Gina, Claudia, Stefania. È più corretto dire che con Valentina Cortese muore l’ultima diva del cinema italiano capace di muoversi in più territori con la stessa padronanza del mezzo. Attrice cosmopolita e fuori dal tempo, che dopo l’ascesa negli ultimi anni del regime fascista emigrò in America, trovò la sua dimensione migliore a teatro, quando il cinema non le offriva più occasioni interessanti.
In questi casi, gli omaggi consentono l’opportunità di rileggere le carriere degli illustri scomparsi. Lasciando da parte il teatro – su cui le mie competenze sono limitate – che la rese diva indiscussa, rivedendo le sue partecipazioni cinematografiche riscopriamo una personalità complessa, da mettere accanto a quelle di Alida Valli e Isa Miranda, un’attrice figlia del suo tempo che nel corso degli anni ha adattato la flautata soavità lunare ai contesti più diversi, tanto nel formalismo accademico quanto nelle fughe oniriche o spiritate.
L’inizio è sotto la benedizione di Alessandro Blasetti, che la vuole vertice angelico della terna femminile insidiata dal focoso Amedeo Nazzari de La cena delle beffe, che la rivuole poi nella corale femminile Nessuno torna indietro. Luigi Zampa ne consolida l’immagine positiva in Un americano in vacanza. L’exploit che la rende interprete straordinaria è il maledetto Roma città libera di Marcello Pagliero, dov’è una prostituita che porta sul volti i segni di una fatica e di un dolore completamente dentro la prospettiva neorealista.
Riccardo Freda la fa volare ne I miserabili, in cui è sia Fantine che Cosetta, doppiata l’una da Rina Morelli e l’altra da Rosetta Calavetta. Poi, l’America, dove diventa, chissà perché, Valentina Cortesa: l’unico vero picco è I corsari della strada di Jules Dassin. Le è fatale rifiutare la corte di Darryl F. Zanuck, che la boicotta attraverso il mobbing. Torna in Italia, naviga a vista e, dopo aver partecipato al capolavoro La contessa scalza, è una de Le amiche di Michelangelo Antonioni, l’artista in crisi col compagno incapace di accettarne il successo, che le permette di vincere un Nastro d’Argento.
Dopodiché, il meglio lo si trova nelle faville improvvise: l’inquietante contessa sul baratro della follia in La ragazza che sapeva troppo di Mario Bava, l’apparizione fantastica bardata da Piero Gherardi in Giulietta degli spiriti di Federico Fellini e quella regale quasi cartoon ne Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam, la moglie squilibrata di Appassionata come apice del gigionismo. Si specializza, ed eccelle, come madre ultraborghese: Scusi, facciamo l’amore? di Vittorio Caprioli, To’, è morta la nonna di Mario Monicelli, Via Montenapoleone di Carlo Vanzina. Due sceneggiati di prim’ordine per la regia di Edmo Fenoglio: è Giuseppina Bonaparte ne I grandi camaleonti e Gerda ne I Buddenbrock.
Sempre pronta alle chiamate dell’amico Franco Zeffirelli (Fratello Sole, Sorella Luna, Gesù di Nazareth, Storia di una capinera), frequenta la commediaccia e il genere, da La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori di Fernando Di Leo al disaster Ormai non c’è più scampo di James Galdston passando per Il cavalier Costante Nicosia demoniaco ovvero: Dracula in Brianza di Lucio Fulci. Ha avuto un documentario in suo onore, il debole Diva! di Francesco Patierno. Ha fatto tutto, è stata generosa e disponibile, portando sempre una luce tutta sua. Un fazzoletto sul capo come segno iconico. Barocca e leggiadra, classica e cubista. Fuori dal tempo. Mai un premio alla carriera.